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lug 07

dEUS @ Roma Vintage

Chi scrive confessa umilmente di aver abbandonato il collettivo belga dopo l’apprezzatissimo The Ideal Crash, ovvero quasi dodici anni fa. Senza star qui a battermi il petto, dirò soltanto che lo iato di 5 anni che lo distanzia da Poket Revolution non ha visto solamente i membri della “formazione originale” (già piuttosto fluida negli anni ’90) prendere strade separate; in quegli anni è stato il mondo intero (e con sè, la sua musica) a cambiare drasticamente. Molte altre band avrebbero fatto bene a prendersi un periodo di riflessione alla mezzanotte del nuovo millennio. Ma cinque anni son tanti, specie se vissuti al ritmo frenetico di quest’ultima dozzina che, diciamocelo, fra nuove tendenze, nuove tecniche, nuovi personaggi e nuovi mercati, ha decisamente attivato il turbo boost. Ma lo stato di salute dei dEUS è eccellente, e i loro live lo dimostrano. Poco importa se sul palco riconosciamo solo il frontman Tom Barman (ormai diventato la controfigura di Harvey Keitel) e il polistrumentista Klaas Janzoons: non si può sopravvivere al 2000 – dopo aver espresso forse la wave europea più interessante dei nineties – senza cambiare qualcosa. Ed è proprio attraverso il sodalizio musicale con la rinnovata sezione ritmica (Alan Gevaert al basso e Stéphane Misseghers alla batteria) che i dEUS… risorgono. L’incredibile affiatamento dei suddetti e un songwriting più lineare ed agile, figlio dei tempi moderni, ci restituiscono una band che può essere digerita anche senza l’eroina e che, sì, era mejo prima, ma almeno non si piange addosso. Forse solo Mauro Pawlowski, ancora un po’ troppo “turnista”, e la sua chitarra (probabilmente vittima dell’equalizzazione) impediscono al gruppo di ritrovare il tocco magico. E’ innegabile però che il quintetto di Antwerp macina il triplo sui brani dove il ritmo la fa da padrone, come accade col pop-funk di The Architect e Girls Keep Drinking, o col restyling di Fell Off the Floor. Sulle struggenti Little Arithmetics e Sister Dew  si percepisce che qualcosa di irreparabile è avvenuto al timbro di Tom, che non ha più alcuna dolcezza, ahimè, ma che graffia da morire sulle recentissime e vagamente Gainsbourghiane Quatre Mains (wow, che pezzo!) e Sirens, e ogni strizzata d’occhio al mainstream (Ghost, Constant Now) ha sempre quel quid che la redime, spesso grazie al contributo dell’eclettico repertorio di giocattoli sonori di Klaas (un talento, il suo, ha qualcosa sia del geniale, sia dello strampalato). La varietà delle atmosfere evocate – dal noise al pop, dal funk alla canzone d’autore – rimane ancora il punto forte dei dEUS, oggi come allora; e quando il gruppo ci saluta con la doppietta Suds & Soda / Hotellounge scende anche una lacrima. E grazie per Instant Street.

PS: non ci sono parole per descrivere la pochezza dei Masoko, opening act incongruente e inconsistente, su cui scarico interamente la responsabilità di aver spaccato il paraurti del mio suzukino in fase di parcheggio.

1 commento

  1. Idealcrash

    Per chi non li conoscesse vi indico il sito italiano dedicato ai dEUS:
    http://www.idealcrash.altervista.org

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