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mag 02

The Horros + Dandi Wind @ Circolo degli artisti

The Horrors

Vi credete che con tre gruppi elettronici che ho visto quest’anno abbia cambiato pelo? Vi credete che solo con la dance si possa fare movimento? O vi credete che mi sia convertito al rap? Spiacenti, ma state sulla strada sbagliata. La luna piena e l’arrivo degli Horrors ci servono sul piatto d’argento una serata da lupi mannari. Attenti ai morsi.
Arriviamo per le 10.30 del 3 Maggio 2007. C’è gente in Circolo ma manco troppa: ecco alcuni amici di Gabriele intenti ad affiggere manifesti di fronte al locale…Ci invitano al Micca a passare l’after show: metteranno dischi insieme agli Horrors. Ci pensiamo un po’ su, domani il lavoro (Gabri) e lo studio (Closer) incombono…All’interno tutto è pronto: iniziano i Dandi Wind, Szam Findlay al synth e Dandelion Opaline al movimento aerobico. Si perché di questo si tratta: la ragazza con i collant a scacchi bianco e neri danza che è una bellezza, deliziando il pubblico di fronte a lei. Il suo movimento su tutto il palco, in lungo ed in largo, ha un forte impatto visivo ed è anche abbastanza coreografico. Ma vi chiederete: e la musica? Elettronica, contaminata da diversi elementi, su cui più di tutto predomina un oscurità dark. Creati nel 2003 con il dichiarato intento di unire elementi di musica, teatro e danza, i Dandi Wind offrono non offrono un granchè di interessante, la presentazione del loro nuovo album Yolk Of The Golden Egg (prodotto dalla Slum in USA e dalla Alt:Delete in Europa) non è esattamente esaltante. Sarà molto interessante qualche accenno industrial in Apothemnophilia (presente nel precedente Concrete Igloo del 2005 pubblicato per la Todtenschlaf Records) e Searching Flesh: è più il movimento di Dandilion ad interessare. Ma ci siamo rotti dell’elettro, quest’anno ne abbiamo vista troppa ed anche di migliore qualità. Fatti da segnalare: nessuno, a parte che io e Gabriele credevamo fino alla loro uscita di avere a che fare con due donne…
All’ora dei nobili, dopo mezz’ora di attesa, arrivano gli Horrors. Il particolare: Faris, il cantante, entra sul palco con una specie di coperta maculata dell’ipotetico nonno, cacciatore di leoni in Africa! Eccoci entrati nel regno della bizzaria. Il gruppo di Southend on Sea, cittadina inglese sulla foce del Tamigi, si porta appresso una fama perfetta per le nostre aspettative serali: concerti a base di riff tiratissimi e violenti, spesso finiti in risse megagalattiche…Ribellione pura quindi ed eccoli arrivare: un entrata così sconvolgente non ce la ricordavamo dai tempi Babyshambles. Le zazzere curate alla perfezione di Faris Badwan (voce), Joshua Hayward (chitarra), Tomethy Furse (basso), Spider Webb (tastiere) e Coffin Joe (batteria) arrivano sul palco con una buona dose di punk da spargere a piene mani. Ancora rincitrullito dall’elettronica dei Dandi Wind mi trovo completamente spiazzato di fronte a pezzi di due minuti, urlati al massimo volume in piena crisi isterica. D’altronde il sottotitolo dell’album diceva “Psycothic Sonds For Freaks And Weirdos”: niente male come proclamazione di intenti. L’effetto è notevolmente devastante: prendiamo Sheena Is A Parassite (il cui titolo fa il verso ad un famoso pezzo dei Ramones…)…1 minuto e 40! Ma che minuto e 40 è il primo singolo degli Horrors!!!Intro da film dell’orrore, fuga con batteria dalle sciabolate di chitarra taglienti: il tutto condito da accenti notevolmente sanguinolenti alla grand guignol che tanto fanno horror punk. Insomma, siamo sotto casa dei Misfits: gli citofoniamo??? La serata diventa pericolosa quando cade un’accetta su di noi: è Count in Fives, l’intro ti devia verso altri territori ma poi a rimetterti a scappare sul giusto sentiero ci pensa un riff malefico che ti fa correre a perdifiato. Gli Horros sono un gruppo che ascolti a casa e fa un po’ di effetto: ma resti spiazzato quando assisti al macello che combinano dal vivo! Jack The Ripper è fenomenale: partenza adagio con brio, per poi impennarsi sulle urla continue “Jak The Ripper, Jack The Ripper…”. E si continua nella presentazione dell’unico album prodotto dalla band, Strange House, prodotto quest’anno per la Loog Records che ha suscitato acclamazioni entusiaste ma anche molte critiche sulla presunta falsità di un gruppo che sembra portarsi i parrucchieri in tour, ma anche capace di sparare una monumentale Little Victories causando lo sclero in sala; oppure Death At The Chapel in cui io e Gabriele notiamo Spider agitarsi con strane movenze feline davanti a noi: il suo soprannome diventerà Gatto e sarà la nostra mascotte della serata. Draw Japan ha sempre queste tastierine che si insinuano con continuità nel corpo delle canzoni, è la costante di questo gruppo che continua a sparare note e prolunga la serata verso la follia pura, anche grazie a Faris, che scende ad urlare tra il pubblico, si arrampica sugli amplificatori, si attacca alle travi metalliche del soffito come una scimmia invadente, grazie ad una sedia finita chissà come mai sul palco,; ma non è tutto. Penso sarebbe meglio con un gruppo del genere tenere la Canon a portata di mano, non si sa mai: ma appena metto la mano alla custodia Faris si gira, prende la rincorsa e si lancia con violenza sul pubblico con il più bel volo d’angelo che ho mai visto fare al Circolo. Troppo tardi…
Il concerto finisce senza bis, guardiamo l’orologio ed è passata mezz’ora, al max 45 minuti. Con un album ed un Ep non è che ci si può aspettare di più. L’impressione è stata buona, il ruomere grezzo ci è entrato in circolo ed abbiamo finalmente abbandonato le serate cerebrali ed astratte di improbabili geni malinconici per immergerci nelle acque catartiche della furia punk. Molti insoddisfatti lasciano la sala: io, memore delle lezioni imparate da precedenti serate punk di 30 minuti e della frase “Keep It Short” mormoratami da Claire Ingram degli Ikara Colt in seguito alle mie suppliche di suonare ancora un po’, li guardo con un sorriso compassionevole. Restiamo ad attendere qualche minuto per una pseudonima firma, magari quella della nostra mascotte Gatto. Ma questi se la tirano fino a strapparsela e noi non abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Ennesima dimostrazione che non siamo mai fortunati ad aspettare i gruppi fuori dai locali (anche perché spesso escono dalle porte di servizio: vero Pete Doherty???)

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