«

»

apr 09

PJ Harvey – Let England Shake

La globalizzazione è ormai un dato di fatto. Le nuove tecnologie, internet, tutte quelle cose lì che ci hanno reso la vita più semplice ma più incasinata sono sotto gli occhi di tutti. Facendo del mondo interno un solo ed unico villaggio globale in cui siamo tutti interconnessi. Di fronte a tali importanti novità ci stanno due reazioni: o lasciarsi abbandonare ai piaceri ed ai doveri del nuovo mondo 2.0, fidandosi ciecamente delle virtù di nostra signora economia (che ci libererà da tutti i mali) oppure sviluppare gli antidoti per resistere alle ondate civilizzatrici. Il movimento di opposizione è stato definito in vari modi, no global, glocal etc…ed ha trovato innumerevoli forme di espressione, dalle strade di Seattle (e di Genova), agli scaffali delle librerie, per finire addirittura nei negozi di dischi. Come definire altrimenti il nuovo album di Polly Jean Harvey? Let England shake è uscito nel mese di febbraio, per la Island Records, che può essere un ottimo gioco di parole per sottolineare la condizione di isolamento in cui l’artista si rifugge dalla marea globalizzante. Ma che è anche un’etichetta stanziata su un’isola, la Gran Bretagna, a cui PJ dedica l’intero album. Fatto con passione, intelligenza ed un savoir faire tipicamente british: cantautoriale miscela di rock, alternative e folk, con la Harvey che spinge con forza quest’ultimo tasto, quasi a voler riappropriarsi della antica e gloriosa tradizione del suo Paese. Goddam, Europeans, Take me back to my beautiful England è l’incipit di The Last Living Rose, una forte dichiarazione di intenti con cui dichiarare l’amore per la Gran Bretagna. Ma PJ Harvey non è solo questo. Sa giocare con questi sentimenti nazionalistici prendendo dal suo bagaglio alternative trucchi degni di un Mago Forrest. La trombetta fantasma della sostenuta The Glorious Land è un coniglio tirato fuori dal cilindro: tra America ed Inghilterra la scelta è ardua ma il ceppo è (era?) sostanzialmente identico. Forse l’accento cambia tanto, ma le parole sono le stesse. Sono The Words that maketh Murder, il singolo di lancio del disco, con un cambio di passo fantastico ed un coro preso direttamente da un pub di Nottingham di qualche secolo fa. La corte di PJ Harvey si chiede what if I take my problem to the Unitd Nations, e ce lo chiediamo anche noi mentre Gheddafi ammazza il suo popolo. Indifferenza verso il mondo esterno e ripiegamento su sé stessi.
Si perché nel frattempo siamo alle battaglie campali da celebrare, in cui All and Everyone ci si difende dal mondo esterno (o lo si attacca). Il ritmo cala, il clima è teso, death was everywhere, in the air and in the sounds. E l’autoharp fa il suo lirico dovere. Così come i soldati inglesi. Guidati dalla voce di una cantante che abbandonate le collaborazioni americane con gentaglia stile Mark Lanegan e Joshua Homme, è tornata da figliol prodiga a casa. Lasciando il melting pot ed il multiculturalismo, nonostante se ne odano echi lontani in England, the country that I love. Nonostante i richiami dei muezzin che sentono in sottofondo. Si, PJ Harvey è tornata in Europa per farsi risucchiare nello scontro di civiltà di un continente che non riesce più a trovare il bandolo della matassa. E che quindi si lascia andare al lirismo dei tempi andati, così come l’ultima parte di Let England Shake.
Uno potrebbe pensare: “Ad avercela una così in Italia”. Giustamente. Specie perché il nostro Paese fa un compleanno speciale quest’anno. Ci dobbiamo invece accontentare di Vecchioni. Ma le cose vanno soppesate con attenzione. Let England Shake è tutto sommato sufficiente. Nonostante le celebrazioni fatte dai giornali inglesi (ma và!) che si sono sbilanciati con votazioni elevatissime, non me la sento di accodarmi alle diffuse congratulazioni. Sia perché molte parti del disco sembrano deboluccie, sia perché questo tipo di operazioni celebrative fatte apposta per un singolo Paese non mi vanno a genio. E non perché sia uno strenuo sostenitore della globalizzazione.

Tracklist:

  1. Let England Shake
  2. The Last Living Rose
  3. The Glorious Land
  4. The Words That Maketh Murder
  5. All and everyone
  6. On battleship hill
  7. England
  8. In the dark places
  9. Bitter Branches
  10. Hanging in the wire
  11. Written on the forehead
  12. The colour of the earth

Label: Island Records (EU), Vagrant (USA)
Anno di produzione: 2011
Voto: 3/5
Giudizio:  Disco tutto sommato sufficiente, con alcune perle formidabili, ma che solletica le tentazioni nazionalistiche inglesi. Come sottolineato dal successone commerciale.

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato!

Puoi usare i seguenti tag HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>