«

»

ott 16

Il fascino della banda

Filarmonica Municipale La Crisi

Corposo, allegro, pastoso, senza particolari interruzioni, si sorseggia con amore e sprigiona odori e sensazioni. No, non è un vino, bensì L’educzione artistica, titolo dell’ultimo lavoro firmato Filarmonica municipale La crisi, quintetto toscano, prodotto da Phonarchia. Tuttavia non è poi così lontano il parallelo tra gusto e musica, come singolare è il rapporto con i colori e il connubio tra sacro e profano. Ne abbiamo parlato con i diretti interessati e in particolare col cantante Pierfrancesco Del Seppia.

 

 

 

Filarmonica e municipale, due termini che uniti presenterebbero tantissime accezioni e ricordi. Il vostro è un tentativo di dare a questa struttura soluzioni diverse o è semplicemente un elemento che perseguita le vostre vite?

E’ indubbio che portarsi appresso un nome del genere sia una scelta importante. Qualsiasi bagaglio può essere effettivamente vissuto come risorsa o fardello. Nel nostro caso, all’interno di una Filarmonica Municipale, una banda di paese, ci siamo nati come strumentisti. Rappresenta l’inizio di un percorso ed il successivo superamento di una certa visione musicale. Ciò non toglie che, pur adottando soluzioni diverse più analoghe alla forma-canzone, certe sonorità sinfoniche ci piacciano molto e abbiano permeato il nostro immaginario.

 

La prima cosa che balza agli occhi di questo vostro nuovo lavoro per la Phonarchia è la commistione tra suono e colori. C’è una legittimazione in tal senso o è solo un bellissmo gioco allusivo?

E’ stato molto bello farsi soggiogare da quest’analogia. L’Educazione Artistica si lega a doppio-filo con i testi delle canzoni, da una parte per la professione che svolgeva mia madre (appunto insegnante di educazione artistica), dall’altra per intima connessione. Per trattare tematiche così vive, delicate in maniera efficace e non didascalica, si doveva un po’ reimparare le regole di comunicazione base, come era alle scuole medie per l’educazione artistica, dove si insegnavano le regole cardine della comprensione di un messaggio visivo. I bambini non dovevano diventare scultori o pittori; semplicemente capire e riuscire ad interpretare quelli che erano i messaggi artistici, esercizio alla base dello sviluppo di un senso critico. La teoria dei colori è il primo rudimento fondamentale che si dà ai bimbi. Curando personalmente le grafiche, realizzate totalmente a mano con colori e normografo, posso garantire che le associazioni tra colori e brani sono state pure e istintive quanto possono essere quelle di un bambino.

 

Che colore potrebbe possedere una canzone come sono io l’educatore che apre l’album e che porta con sé un verso come “ho un mondo nella testa anch’io”?

Pur nella sofferenza del brano, questa è un’affermazione assoluta, quindi, senza dubbio un colore primario. La canzone parla d’autismo, difficoltà di comunicazione gridata in maniera sfacciata. Colore carico, sfrontato, ma anche piuttosto riflessivo. Un bel Giallo.

 

C’è una certa “dissacrazione” bandistica, se vogliamo chiamarla così? In Italia in passato abbiamo avuto casi importanti a riguardo, penso alle bande non omologate bolognesi e il concetto stesso di Banda, nella mente che viaggia per filiazioni, spesso fa venire in mente l’irrisione del classico che, mischiato col popolare, diventa profano.

Diciamo che nel corso degli anni il “bandistico” è andato ridimensionandosi, dal punto di vista strumentale. Come hai ben notato però, il fascino della banda è più una questione di interpretazione irriverente del formale. Un modo di tirare giù da scranni e podi quello che sembra inarrivabile, “classico” per portarlo alle mani di tutti. Trovo fantastico il fatto che le bande che abbiamo frequentato, reinterpretassero Händel, Haydn, John Williams, Henry Mancini e Perez Prado nei soliti concerti, in medley talvolta anche improbabili e lo facessero in maniera anche godibile, per tanti versi. Dissacrante è esattamente il termine più appropriato. Concettualmente, la banda resta una delle esperienze più punk mai provate. Ne abbiamo mutuato la mancanza di rispetto bonaria e l’abbiamo trasposta più nell’urgenza dei testi, che nei riferimenti strumentali.

 

La Toscana, il regionalismo italiano in genere, con i suoi pregi e i suoi difetti non sembra colpirvi, eppure immagino siate dei toscanacci imperituri.

Siamo una combinazione lineare di pisani e livornesi, quindi potete immaginare. Tuttavia, non abbiamo mai cercato di essere veicolo di un “modo toscano” di intendere la comunicazione. Sanguigni lo siamo a prescindere. Per il resto, i panni sporchi si lavano in casa.

 

Nelle varie tracce si colgono due aspetti: gli affetti e l’ipocrisia sociale. Penso a Segugi sotto e Il male.

E’ un accoppiata giusta per completare un certo tipo di discorso. Senz’altro “Segugi Sotto” tratta l’alienazione sociale progressiva, come effetto, “Il male” lo stigmatizza. I media ci hanno tolto il raziocinio nello scorso ventennio, adesso siamo orfani anche di quelli. Hanno rappresentato, come si descrive in Segugi, la pietra dello scandalo per molto tempo. Non sono più rappresentativi a livello generazionale e ci si trova un po’ orfani di se stessi, senza nemmeno potersela prendere con qualcosa di altro. Nel Male si tratta proprio questo (neanche tanto la solitudine, fosse solo quella!), l’illusione di potersi scrivere lettere allo specchio, il poter provare pena di se stessi come se fossimo terzi. Come se si potesse autocommiserare o suicidare qualcun’altro (da leggersi come verbi erroneamente transitivi).

 

Ho letto che l’intento di questo vostro lavoro è stato renderlo quanto più possibile comunicabile. In Gloria guida si fa il verso a questa specie di pedagogia. Esiste una musica complessa e una musica semplice o esistono artisti complessi e artisti semplici?

Di base non esiste nulla di tutto questo. Esiste la comunicazione e, più si vogliono trasmettere messaggi pesanti, più diventa auspicabile che la forma sia intellegibile e snella, perché sennò si finisce a cantarsi le cose addosso, magari anche belle ma in maniera compiacente. Che, diciamo la verità, fa anche piuttosto schifo.

 

Cosa ascoltate di solito, quali sono i vostri artisti preferiti di oggi?

Parlando di oggi, la forbice si riduce parecchio. Comunque riteniamo che del coraggio e della capacità ci sia in Italia. Sicuramente, c’è stata negli anni 60/70, nel cantautorato e nelle colonne sonore. I temi cambiano e le generazioni peggiorano, ma il DNA, almeno si spera, è rimasto quello. Anche se, oggi, sembrano degli errori del genoma, apprezziamo chi riesce ad essere bello, importante, urgente senza troppi atteggiamenti. Su tutti Alessandro Fiori, Ronin, Calibro35 e per l’estero Nick Cave, Beck, St.Vincent, Anna Calvi.

 

Torre di babele: due dischi da tenersi stretti fra le braccia, due da buttar via senza rimpianto.

Push the sky away di Nick Cave e Cascata di Alessandro Fiori. Giù dalla torre, butterei tutti quanti gli artisti, perché le trombe del giudizio suoneranno per tutti quelli che credono in quello che fanno.

 

Come credete si possa superare una crisi che ancora oggi dopo sei anni miete vittime e non sembra voglia smettere, voi che di quella crisi ne avete fatto un moniker o quasi?

La Crisi non va superata o meglio, la crisi si supera da sè in maniera darwiniana.
Alla crisi ci si abbandona, confidando nelle virtù di ripresa e “ricostruzione”, in verità abbastanza nascoste, della gente. In questo sono abbastanza fatalista e, per certi versi, non nego che mi auspico un ritorno alla materia, alle arti rurali, allo scambio di nozioni, di arti e musiche istintive. Da sempre le migliori.

 

Ritorniamo all’aspetto pedagogico. Per decenni si è parlato di cos’ è musica colta e cosa non è. Oggi, con l’avvento di internet è difficile riprendere questa disputa o forse è il momento di ritirarla fuori dal cilindro? Internet secondo voi ha appiattito o allargato la fruizione musicale?

Entrambe le cose, non saprei tirarne le somme. Senz’altro, le librerie digitali di musica, di computer e Iphone sono così vaste da aver impigrito l’ascolto e la ricerca della gran parte dei fruitori. Allo stesso tempo, hanno innalzato lo standard tra i gusti degli ascoltatori più attenti. Noto che rispetto a noi, i ragazzi più giovani già visibilmente “in gamba” sono ad un livello di apprendimento ed attenzione superiore rispetto a qualche anno fa. Sopratutto nella velocità dell’ apprendimento. La paura è che si vadano velocemente a perdere tante suggestioni, interazioni di gusti, suoni, alchimie. Cose che neanche si spiegano e che, però, al fine qualitativo sono fondamentali da cogliere. Non ho una definizione di musica colta, ma le sottili peculiarità dei colori ne fanno parte e per apprezzarle, occorre quantomeno un po’ di attenzione e di Educazione.

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato!

Puoi usare i seguenti tag HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>