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ott 15

Nils Frahm – Spaces

Anche per i più, ascoltare un autore di solo piano significa fare confronti a livelli alti e altri e non ce n’è di storia. Putroppo il mondo delle uscite discografiche in tal senso è ai livelli di sovraproduzione, indi per cui o si stringe il cerchio e si cercano delle sintesi accomodanti o si finisce per risuonare e riscrivere la stessa broda: dischi su dischi, collaborazioni, samples, live estemporanei che confondono baci analogici con quadri digitali, rancidume ruminato in chiavi wave, elettromiscellanee angustiate dal reclàme clasicheggiante e si finisce col ritenere un mago innovatore chi in realtà è un musicista onnivoro, un bravo operaio delle note. Nils Frahm è proprio questo ed è anche altro a dire il vero, ad esempio è un buon produttore – vedi sotto la voce durton studio -  dall’udito teso e dagli occhi sempre ben aperti. È uno che ci sa fare con l’idea di appeal, regge bene l’urto col pubblico e il pubblico dimostra di non annoiarsi e di reggere Nils come è ben dimostrato in queste undici tracce di Spaces, suo ultimo lavoro uscito per Erased tapes. Capita a pochi di nascere e formarsi in un ambiente dalle forti pretese, per poi piombare in un’èra che di quelle pretese non sa che farsene e poco ci vuole per scivolare nel pop o, in direzione ostinata e contraria, nell’accademismo o nella serialità. Nato a Berlino 31 anni fa, Nils magari ha sempre sfiorato quel peso che teutonicamente si potrebbe sentire a pelle e poi respingere o amare, fate vobis, il peso di una storia che come Sisifo prova ad andare avanti ma si arrabatta costringendo il bacino a far tremare i femori all’indietro. Frahm quantomeno rimane compassato, rilassato, all’apparenza sicuro delle sue frasi, dei segni d’interpunzione (la bellissima unter-tristana-ambre), delle pause, del suo baricentro. Spaces possiede un coraggio elegiaco che sta nel non trascendere, prova a volar via, ma rimane incagliato al bastimento delle umane controversie: i sospiri di un mare à la Broderick, in chiave più ambient e meno folk come in passato, la diteggiatura e le altezze che seguitano il perimetro delle cellule. È magari un risentimento noir che emerge dallo spartito di questo live, ma è un gessato che si sposa meglio col minimalismo di progenie tonale che potremmo, con le dovute differenze, associare alla produzione di Greg Haines e Olafur Arnalds. Il compositore tedesco ha quasi sempre voluto plasmarsi un reticolo di suoni e in questo ha fatto strada diventando un vero e proprio capofila, ma ora, e dispiace dirlo, tutto il passato tende a conformarsi su parabole neoclassiche o su patterns. Un conformismo sagomato, imbellettato, poco plausibile. Tuttavia appare un classico che è solo classico come l’improvvisazione per solo piano, risate, tosse e cellulare (tradotto in italiano suona meglio) dove l’esotismo à la O’Halloran segue un sottotitolo dallo svago fluido e un’etica nettamente cageiana.  C’è divertimento – quello che aveva fatto evitare a Screws, l’anno scorso, l’inevitabile cestinamento – nella lagunare For Peter-toilet brushes-more. Si nota una certa inerzia nella scrittura che a occhio non vissuto risulta delicata e mansueta, ma a ben vedere scivola su uno stesso scorrimano (Says, Over there, it’s raining). Tanto e appunto per sintetizzare, il tutto sembra allettante, allegoricamente sospeso tra le fronde di una natura a passo uno da cui tuttavia aleggia e prende corpo sempre una stessa idea di suono, un luogo comune da cui è difficile allontanarsi anche a quota decimo album ufficiale.

Anno: 2013
Label: Erased tapes

Tracklist

1 An aborted beginning
2 Says
3 Said and done
4 Went missing
5 Familiar
6 Improvisation for piano, laughs, coughs anda cell phone
7 Hammers
8 For Peter-toilet brushes-more
9 Over there, it’s raining
10 Unter tristana ambre
11 Ross’s harmonium

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