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feb 07

Olof Arnalds @ Santeria

Olof Arnalds. Photo Silvana Celentano.

a cura di Christian Panzano

Prendo la 54 per andare al Santeria e noto subito una coppia di ragazzini dentro l’autobus. Le facce già viste, una chitarra infoderata che copre la schiena della ragazza dai capelli caschetto ossigenati. Avranno si e no 40 anni a coppia. Io con la 54 mi ci perdo e vado a sbattere nel quartiere Ortica, zona sud di Lambrate. Scendo giù e bestemmio fra me e me, cantando però una canzone di Baglioni o Battisti, non ricordo, tanto per rilassarmi. Esagero un po’ per enfatizzare, in realtà ero abbastanza fiero del mio nuovo cappotto preso da Celio tutto elettrizzante soprattutto nelle sere di tramontana, tanto da scintillare di baci con la mia ragazza. Però Battisti o Baglioni, uno dei due, mi è comunque venuto in mente. Forse era Lucio, forse era Claudio, ma lasciamo stare. Arrivo al locale e mi accorgo di essere nel cortile di casa mia o in quello di qualcun altro, tanto son tutti uguali i cortili di Milano. Solo che invece delle fioriere o delle porte per garage ci sono tavolini in legno colorati, sedie di tutti i tipi, un shop di libri, vestiti e dischi, una saletta interna con altri tavolini, meno colorati direi e il bancone dove ti servono da bere. Tutto molto cool vero, ma se fossi il vicino di via Ettore Paladini 8, qualche reclamo ai ghisa l’avrei già fatto. Scherzi e impersonificazioni meneghine a parte, in un’altra saletta incastonata tra le mie pupille si sta per esibire Olof Arnalds. Chi? Ma si quella giovinetta dal sorriso facile che sembra una mondina dei film di Visconti trapiantata invece in Islanda. L’aula è piena e si fa fatica ad entrare. Il titolare si prende un bel vaffa da uno spilungone irsuto dalla verve fumata e i piedi troppo lunghi che pensava di trovare il posto prenotato aggratisse e invece ha incocciato la testa di fronte ad un silenzio d’attesa ecclesiastico, pochi posti a terra tanto meno in verticale. Per rubare il tempo alle ossa ansiolitiche prendo uno sbagliato e sfoglio il programma delle serate, insieme a quello del Magnolia. Ma il cocktail sa troppo di Negroni giusto e inizia a far freddo tra un piede e l’altro. Penso e rimbrotto fin quando qualche anima pia non mi dice che l’attrazione della serata si sta per esibire. Macchè, neanche per il vestibolo del cervelletto. Penso, rimbrotto e inizio a pianificar serata. Un cous cous con amici, un noodles, asiatico in Porta romana? Poi sento delle note acustiche e mi fiondo in sala calpestando il piede sinistro di una ragazza piena di piercing in faccia (ma non faranno male incastrati nelle guance?) Chiedo umilmente scusa, provo a stendere la mia vista oltre la siepe di teste capellute (anche troppo, ragazzi tagliateveli ‘sti capelli dai, non è più moda e non lo sarà mai più, spero!) ma non vedo un cippo. Rimugino, rimbrotto e inizio a pensare ad un secondo cocktail, magari uno screwdriver fatto bene però. Lasciamo perdere tutti i timori maligni del tipo: ma potevi venire prima, potevi pensarci prima, potevi occupartene prima. Il solo unico pensiero è in questo momento mangiare, ho fame e al Santeria per due ciocche di pan bauletto con pomodorini devi fare una fila che neanche ai Musei vaticani. Riesco a raggiungere un grado di attenzione accettabile e qualcun altro in più sfregandomi le mani. Provo a scandagliare il perimetro circostante, pieno di insidie, ubriaconi e teste forforose. C’è uno spiraglio nella saletta contro la gente fuori nel cortile e dentro al caldo che è come se vivesse un’altra vita, non quella di Olof. Ma è una prima italiana, cavoli, uno showcase gratuito, con fotografi e scribacchini e i phoner di rito, perdinci. Un po’ di rispetto per la musica cantata e per una Gibson suonata come Dylan comanda.

Photo Silvana Celentano

Provo a invischiarmi nell’affare islandese. C’è spazio finalmente e mi rianimo prendendo ardimento, la serata non è perduta, anzi. Impongo ai miei globi oculari di restare attenti ai fatti. Non voglio assolutamente farmi prendere dal disagio o dall’esuberanza o dalla solita canzoncina di Battisti/Baglioni che proprio non riesco a levarmi dal cranio. Olof è un incanto, la sua voce tenera e rispettosa. Una performance breve, ma efficace. Alcuni tratti rapidi dell’ultimo Sudden Elevation, un bel transfert emotivo col pubblico seduto e in piedi e qualche sorriso timido come dire “scusate se sono venuta a rompervi le palle, ma io mi chiamerei Olof Arnalds e vorrei suonarvi delle canzoni”. Byork anni fa definì la sua voce “ a metà tra una bambina e una donna anziana”. Nulla da aggiungere. Direi che l’ultimo album ritrae a sé il meglio di un folk nordico che vuole restare tale, tra rami secchi e neve come fosse cemento. Non azzardatevi a occidentalizzare Olof, lei sta bene lì com’è. Al primo che la definisce la Kate Bush degli anni 10 gli faccio fare un corso di seppuku modernizzato. La cantautrice dopo due album in islandese e una certa fama non solo nazionale, approda a questa maturità stilistica per un disco che risente di un respiro non più breve, di un lavoro continuativo e profondo nella ricerca delle note, nei testi pregni di significati, pur nella loro semplicità. Sudden elevation possiede svariati gioielli. Taluni (German fields, Bright and still, Treat her kindly e in ultimo Fear less) che supplicano un ascolto pop ma sempre parsimonioso, tal’ altri (Return again, Call it what you want,  little grimm) che gridano un silenzio isolano ma che vorrebbe approdare al continente senza dimenticare le origini. Dal vivo la cantautrice ha meritato la fatica di questa sera, la mia memoria non proprio limpida, gli accostamenti bislacchi, i piercing, la forfora altrui, i cocktail sbagliati e la gente che se ne è un po’ fregata dirimpetto. Ma è un po’ il senso di questo bellissimo posto che è il santeria. Quando Olof saluta dopo pochi brani, nessuno reclama un bis, in fondo è solo una prima. La saletta si svuota quasi rapidamente e i muri bianchi che fino a qualche minuto fa avevano gradito il colore ocra delle luci di scena, si ridipingono di ombre sottili che sfuggono ad occhio umano. Con la combriccola si è decisi per un sushi e che vigliacca Milano quando vuole. Rimaniamo tutti un po’ perplessi tra la contentezza di aver ascoltato una brava cantante e il rivedere sulla 54 la coppia dei ragazzini con chitarra custodita incorporata. Quei capelli ossigenati fanno da contrasto un po’ a tutta la serata. Chiedo remissione, non me ne voglia la ragazzina innocente.

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