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mag 23

…And you will know us by the trail of Dead – Tao of the Dead

E che gli devi dire ad un disco così. Di cosa devi parlare quando hai davanti un gruppo del genere. Non riesci ad esprimere niente e resti imbambolato ad ascoltare le stranianti note introduttive di Ebb Away (una qualsiasi, eh) cercando di immaginare quali termini puoi trovare per spiegare questa sensazione di pace e serenità ed il perenne contrasto con il male e la caduta. Un contrasto ed una dialettica costante in Tao of the Dead, settimo album per i Trail of Dead, uscito quest’anno per la Richter Scale. Un bianco e nero che ti fa volare ad altissima velocità Somewhere over the double rainbow dove rischi di perdere la coscienza. Un accelerazione progressiva che sfonda le porte della psichedelica grazie alla poderosa potenza di un gruppo che non ha limiti, e ne è pienamente consapevole dai tempi di Source Tags & Code, capolavoro dell’epoca moderna e contemporanea, dimensione nella quale e sulla quale creare castelli immaginari di stupefacente bellezza. Quasi quanto le copertine che disegna Conrad Keely (insieme a Jason Reece artefice di questo sogno) con le sue stesse mani, così come con le sue stesse mani affonda nella jam conclusiva del pezzo. Tao of the Dead è un album complesso, per cui non mi vergogno affatto di ammettere di aver passato quasi tre mesi ad ascoltarlo prima di affrontare questo compito ingrato di recensirlo, di tramutare la musica in parole. Una costruzione barocca, un viaggio medioevale in una fortezza inespugnabile non dall’esterno, ma dall’interno, perché quando ne sei dentro non ne vuoi più uscire. La cui metafora illuminante è il pezzo finale di oltre 16 minuti. Sarà colpa dei Rush, ma la lunga catena conclusiva presenta come al solito momenti di ineguagliabile bellezza, che si possono apprezzare solo nella giusta concatenazione progressiva. E’ questa la dimensione progressive dei Trail of Dead, molto spesso fraintesa da gente che si avvicina al gruppo pensando di avere a che fare con i Dream Teather ed invece si trova davanti il monumento dell’alternative rock con annessi e connessi. Gli annessi sono le strabilianti atmosfere di menti geniali che compongono musica, quando la dimensione del comporre è ormai andata perduta insieme alle vecchie vestigie della musica che fu, ed ora fa spazio al produrre musica e consumarla. I connessi sono i pezzi che “compongono” l’album e che si fanno comporre dal gruppo di Austin.
No, non si può consumare la musica dei Trail of Dead, poichè non è un prodotto, ma è semplicemente arte. Sogno. Non l’afferri al primo ascolto, ma hai bisogno di entrarci dentro, piano piano, preferibilmente  accompagnato da un bambino che con il suo entusiasmo ti mostrerà la caduta dell’impero americano (Fall of the Empire) e di tutti i suoi sogni, quando l’America è sempre stata considerata la patria dei sogni. Ne potevi avere sentore in Summer of the Dead Soul, anfetaminica e vertiginosa discesa verso gli anfratti più nascosti del castello immaginario di Tao of the Dead. Siamo tutte anime morte. E’ la visione di tale dipartita che ci riporta alla realtà si rivela essere un altro sogno, ed il sogno più grande che raccoglie l’intero disco ed in fondo tutta la nostra eXistenZ non è altro che Pure Radio Cosplay, che si candida ad essere il pezzo definitivo di una band che sa che significa essere vittima di una canzone, od a volte di un intero album. Il peso di Pure Radio Cosplay è tale che qualsiasi altra band ne rimarrebbe schiacciata. I Trail of Dead invece decidono di raddoppiare la posta, sfoderando un reprise clamoroso quando meno te l’aspetti. L’intro da brividi, quasi l’impossibilità di tenere a freno il proprio istinto, e poi lo sfrecciante ritmo e le accecanti luci del riff. “There’s no need to worry about it“. E si riparte. Sempre. Più forte di prima. Per poi lasciarsi andare ad uno degli outro che faranno la storia della musica. Intro ed outro. Sogno e realtà. Il modo migliore di resistere ad una tentazione è cedervi, diceva il saggio Wilde. E mentre il peso del sole (Weight of the sun) ci abbatte sulla nostra misera terra, proprio quando ormai stai arrivando alla conclusione si rivela l’epifania. Una strana epifania. “I had a Strange Epiphany as I woke out of a dream”. Il risveglio come luogo dove tutto trova conclusione lì dove era iniziato, all’interno delle costruzioni barocche dei Trail of Dead, dove ogni suono ha un suo perché. Dove ogni sogno ha un suo perché ed un posto in cui svolgersi. E’come quando sogni un posto e ritrovi tutto nella stessa identica posizione. Perché nel sogno il tempo non esiste e, forse, nemmeno noi. Sogno e tempo, l’inizio e la fine, lo yang e lo yin di anime che sono già morte ma che continuano, per inerzia, a voler sognare.

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