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apr 08

The Black Angels – Phosphene Dream

Il fosfene è un fenomeno entopico caratterizzato dalla visione di una luce senza che la luce stessa entri negli occhi. Fasci di luce indotti da suoni o movimenti che sono spesso indotte in persone che  passano lunghi periodi senza essere stimolati visivamente o sotto effetto di droghe psichedeliche. Senza ombra di dubbio i Black Angels intendevano riferirsi alla seconda opzione quando hanno deciso il titolo del loro ultimo lavoro, Phospene Dream, il terzo dopo gli ottimi Passover e Direction To See a Ghost. L’indubbia propensione psichedelica che porta Christian Bland, Alex Maas, Stephanie Bailey, Nate Ryan e Kyle Hunt a viaggiare continuamente nelle polverose strade degli anni’60 ci è abbastanza nota dopo averli visti qualche anno fa a Roma ed io li ringrazio ancora per i numerosi stimoli che mi ha dato questa visione non entopica.
Il primo fascio di luce che ci colpisce è Bad Vibrations, un lungo mantra che viene spezzato verso la fine da un’accellerazione improvvisa. Da 0 a 100 in un microsecondo, senza passare dal via. Haunting at 1300 McKinley resuscita il buon Jim Morrison e ce lo pone davanti come padre putativo della band: breve ma intenso. Ma attenzione alla successiva traccia. Yellow Elevator #2 è ondulata come le linee delle meravigliose copertine dai Black Angels, suona come un miracolo di Padre Pio ed è sognante come un tributo ai Pink Floyd. L’ultima parte infatti rimanda al miglior Barret, e non è la prima volta che capita (basti pensare a Doves nell’album precedente, dove il riferimento era esplicito). Arrivano le tastiere di Sunday Afternoon a spezzare l’incantesimo ed il rock torna protagonista indiscusso con una sessione ritmica prepotente. Sembra la stessa cosa per River of Blood che sembra silenziosamente scappata da People Are Strange, prima di esplodere con un riff che quasi stoner che farebbe impallidire i Nebula. E poi le conclusioni incasinate quanto ci piacciono. L’eco di Entrance Song ci scalda immediatamente il cuore per la sua alterità, è come prendere i Black Rebel, chiuderli in una comune hippie e drogarli pazzamente fino a farli scoppiare.  Ma il gruppo di Austin sembra ormai avere un’altra marcia rispetto agli altri. La riverberosa traccia che dà il titolo all’album impressiona per compiutezza e spigolosità. Grazie dell’urlo Alex, ne sentivamo proprio la mancanza.
L’Oriente è vicino e True Believers non può non farci fare una scampagnata nelle verdi vallate d’India, dove il ritmo del sitar ammalia ed ammala la menti ed i cuori. Forse la coda finale è troppo lunga e troppo seria. Ma sono dettagli in un lavoro comunque ottimo. L’hammond ballerino di Telephone ricorda ancora Le Porte nei loro momenti di sballo lungo i motel e le strade di un’America ormai scomparsa per essere sostituita da un conformismo che alcuni almeno sognavano di sconfiggere. Altri lo fanno solo tra uno spot e l’altro. Falsa testimonianza. The Sniper potrebbe darci una mano a risolvere il problema della sovrappopolazione, perchè non è più at the gates of heaven, ma è sceso tra di noi per completare il lavoro.
Semplicemente geniali, nella loro semplicità, i Black Angels stimolano la fantasia con colori e luci, causando anche disturbi visivi. Che sono benvenuti per chi della normalità è ormai stufo ed attende l’occasione per aprire nuove porte e fare entrare nuova luce nella propria vita. Il fosfene è solo un rischio calcolato, e sicuramente il minore dei mali. Al massimo ci si compra un paio di occhiali da sole, possibilmente Ray Ban, con cui fare una gita in moto magari a New Orleans per il carnevale. Ah, dimenticavo che New Orleans non ci sta più. Forse è meglio continuare a sognare.

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