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giu 07

Breton – Other People’s Problems

Breton non ci dà modo di capire da che parte siamo girati, e questo ci piace. L’ultimo lavoro dall’interessantissimo titolo Other’s People Problems inquadra questo progetto come trionfo dell’innovatività. L’ascolto di un album del genere ti fa porre la domanda che personalmente preferisco in assoluto, ovvero “che genere è sta roba?”; ed è quando non si trova risposta a questa domanda, che la curiosità ti spinge ad ascoltare ancora e ancora, a cercare di capire dove collocare nella scatolina dei generi queste undici tracce, meravigliosamente realizzate ed ognuna diversa dall’altra: è il futuro, è ciò che ti spinge ad ascoltare sempre nuova musica. L’unico appiglio che posso avere è quello degli italianissimi Quakers & Mormons e ovviamente anche un po’ i My Awesome Mixtape, ovvero una sorta di hip hop elettronico dal fraseggio semplice, ma dalla preziosissima ricerca sonora: le parole non sono in primo piano ma si appoggiano su strutture ritmiche assolutamente non basilari, ricche di suoni, di arpeggi, di melodie; non manca la potenza di alcuni beat pesanti ai quali non ci si può sottrarre dal far ondeggiare la capoccia e battere il tempo con l’indice della mano accompagnato col piede destro. Ogni elemento è perfettamente equilibrato nel “sistema bretoniano”, e si alternano stati d’animo diversi lungo tutto l’ascolto di questo album. Pacemaker è l’overture perfetta, ritmiche secche sorreggono la morbidezza di un giro d’archi con echi dal passato, sapientemente triggerati nei punti giusti. Segue Electrician che strizza l’occhio al pop per la sua struttura, la pulizia del cantato, il ritornello melodico, sembra un brano di The Streets ma con più elementi. Arriva poi la bomba Edward the confessor che sprigiona una suadente malinconia con quel giro ipnotico tendente alla filastrocca, quell’arpa che compare qua e là a staccare sulla voce sporca e la ritmica sicura. C’è poi la soffice apertura di 2 years che ci addolcisce l’ascolto, mantenendo sempre un po’ una vena malinconica che contraddistingue comunque gran parte dell’atmosfera dell’album, alternando momenti di ritmica delicata ed appena accennata, ad altri dove il beat si fa determinato e portante, quasi come un gioco di chiaroscuri musicali. Tornano i campionamenti frammentati su una batteria vera e propria, un piano spezzettato e una chitarra cattiva, insieme alle già citate aperture d’archi: Wood and plastic è un brano indierock arrabbiato e veloce, una roba che sicuramente non t’aspetti a metà album. Gira bella dritta invece Governing correctly, ricordandoci un po’ gli Hot Chip sia per i suoni utilizzati che per la struttura vera e propria. Si torna poi su un beat un po’ più hiphoppeggiante con Interference, ma il coretto e la stesura della voce rimandano al pop, e anche in questo caso l’utilizzo di archi innalza il brano ad un’aulicità propria di quest’artista, mescolata sapientemente all’asprezza dei synth. Quest’alternarsi di ombre e luci, è presente anche nella successiva Ghost Note dove la componente elettronica si impossessa però di un ruolo principale e trionfante. Stampo simile ma con bpm rallentati per Oxides dove rispuntano alcuni timidi campioni di arpa su cassa e rullante sordi e sincopati, supportati da un synth che è un mix tra un motore diesel di un camion sgangherato ed il rumore della segheria sul ruscello di Canazei. E ovviamente il penultimo pezzo sconvolge completamente ogni idea di genere che ci si era fatti finora: Jostle inizia con cassa dritta ed un quasi fastidioso giro che inizialmente ti ricorda quasi un po’ un brano di Kid Cudi, ma per fortuna la voce di Breton si appoggia subito dopo con strofa e ritornello melodicissimo, una chitarrina dolce accompagna il tutto, e un bassone rotondo regala quel tocco in più che rendono questo brano di ottima fattura, fino all’esplosione finale. The commission chiude con un sigillo epico, echi su voce e suoni, esplosioni e frammenti, ricreano quel velo malinconico che è firma di questo splendido lavoro, manifesto di postmodernità tanto per usare parole un po’ a caso tanto gradite ai veri recensori di grandi testate. Ma Other People’s Problems non merita davvero aria fritta per esser descritto, perché si tratta di un lavoro concreto, sentito e sapientemente realizzato, che non risulta pesante, che prende un po’ a braccetto il pop nei suoi brani più melodici, il pubblico hip hop per la struttura delle sue ritmiche, gli amanti dell’elettronica per l’utlizzo di suoni davvero belli nella loro semplicità. Breton la sa lunga, e non si può che essergliene grati; lascia pure i problemi alla gente, e tu continua per la tua strada continuando a sorprenderci.

 

Etichetta: FatCat

Anno: 2012

 

Tracklist:

 

1. Pacemaker 3:51

2. Electrician 3:00

3. Edward the confessor 3:08

4. 2 Years 4:05

5. Wood and Plastic 2:40

6. Governing Correctly 3:51

7. Interference 3:40

8. Ghost Note 4:32

9. Oxides 3:59

10. Jostle 3:58

11. The Commission 4:57

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