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apr 17

Afterhours – Padania

Sarò sincero: della spocchiosa quanto deferente tendenza di mille webzine e riviste patinate d’incensare questa o quella band a partire dal blasone del nome piuttosto che dal contenuto del prodotto avanzato non me ne frega nulla.
Se volete una lettura compiacente comprate XL.
Io non faccio pompini a nessuno.
Perciò, se il contenuto di quest’articolo non dovesse soddisfare il vostro fine palato di provetti Charles Avison è un vostro problema.
Non mio.
Perché questa triviale precisazione?
La risposta è semplice: Padania, decima fatica discografica degli incommensurabili Afterhours, è forse l’album più atteso ed invocato di questo intero 2012; raramente, infatti, un semplice disco, soprattutto nell’era del download sfrenato e dello streaming selvaggio, è in grado di  generare un’attesa così spasmodica come quella nata il 29 febbraio quando, dopo la pubblicazione dell’EP Meet Some Freaks On Route 66, Agnelli & Co. ufficializzarono la data di pubblicazione della loro nuova quanto affascinante creatura in studio.
Il rientro in formazione, due anni fa, dell’indimenticato (da molti) Xabier Iriondo, inoltre, aumentò l’hype generato da questo piccolo annuncio e diede vita ad una serie di speculazioni sul presunto orientamento musicale del nuovo album: ritorno alle origini post – grunge e noise dell’era Germi? Ripresa delle morbide sonorità di Non È Per Sempre?
E via di questo passo.
Che vi piaccia o meno, gli Afterhours – giustamente – hanno scelto di seguire la propria strada: Padania è un disco di sperimentazioni, entusiasmo artistico e libertà compositiva.
Sulla carta, insomma, qualcosa di memorabile.
Peccato, però, che il risultato finale sia tragicamente al di sotto di ogni più misera aspettativa.
Gli Afterhours, ahimè, confezionano un disco scialbo, per nulla incisivo, privo di concretezza e di armonia, incapace di catalizzare ricerca sonora e forma – canzone in una direzione che sia chiara e pulita.
Un disco di mestiere, verrebbe da dire; un lavoro confuso e disarticolato, secondo il sottoscritto.
Al termine dell’ascolto, nulla: non una melodia, non una rima che invada il cervello per giorni e settimane, non una strofa memorabile, non un pezzo da urlare al volante.
In mia difesa, posso dire di non essermi lasciato scoraggiare da quella che poteva essere solo una semplice sensazione e difatti, forte d’un bel pelo sullo stomaco, mi son deciso ad andare avanti con una seconda, terza, quarta ripetizione.
Sto scrivendo queste righe dopo averlo ascoltato per cinque volte nel corso di una singola giornata.
Ecco, se dovessi far mia una metafora metropolitana tanto tetra quanto crudele, direi che Padania è un po’ come il classico corpo morto steso sull’asfalto: per quanto imputridito ed orrendo esso sia, non potrai mai fare a meno di guardarlo.
Per quanto gli arrangiamenti di Ci sarà una bella luce possano colpirti il cuore, rimarrà sempre una sorta di outtake delle sessioni de I Milanesi Ammazzano Il Sabato; per quanto possiate gasarvi con le distorsioni di La tempesta è in arrivo, avrete sempre la sensazione d’ascoltare una brutta copia dei Placebo.
Padania è un album composto da quindici canzoni che meglio figurerebbero in una raccolta natalizia/greatest hits di B – Side, piuttosto che in un lavoro fine a se stesso; quindici brani, credetemi se vi dico che mi spiace ribadirlo, pressoché mediocri.
Mediocrità sciorinata ovunque, persino nei testi, da sempre il punto forte di questa formazione.
In tre occasioni, due nella stessa canzone (la titletrack), ho addirittura avuto modo d’anticipare le rime stese dalla sempre ruvida (ed incantevole) voce di Manuel Agnelli.
Questo è il punto: Padania, a livello lessicale, suona esattamente come “un altro – qualsiasi – lavoro” degli Afterhours, né più né meno.
Dopo vent’anni, però, trovarmi ancora fra le mani versi come “tu puoi quasi averlo sai e non ricordi cos’è che vuoi” è stancante.
Nella conferenza stampa di presentazione del disco, Agnelli ha sostenuto che Padania «è un titolo provocatorio, che usa una terra che peraltro non esiste per parlare di una condizione interna, esistenziale dell’individuo» e che «si tratta solo di una metafora territoriale, come ne sono già state fatte altre».
A me sembra solo l’estremo tentativo di salvare un disco che, altrimenti, non avrebbe mai dovuto vedere la luce.
Certo, cosa potrà mai fregare loro?
Assolutamente niente ed a ragione: io sono solo uno scribacchino part time, mentre loro, invece, hanno scritto intere pagini di storia della musica italiana.

Tracklist

01. Metamorfosi
02. Terra di nessuno
03. La tempesta è in arrivo
04. Costruire per distruggere
05. Fosforo e blu
06. Padania
07. Ci sarà una bella luce
08. Messaggio Promozionale N.1
09. Spreca una vita
10. Nostro anche se ci fa male
11. Giù nei tuoi occhi
12. Messaggio Promozionale N.2
13. Io so chi sono
14. Iceberg
15. La terra promessa si scioglie di colpo

Anno: 2012
Genere: Rock
Etichetta: Artist First

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