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mag 02

Strange Days @ Circolo degli artisti

Ok Go

Rientrato da poco in Italia, dopo la felice parentesi belga, mi aspetta un bel comitato d’accoglienza. Dopo un paio i giorni passati a bighellonare poco ed a studiare tanto, ci immergiamo nuovamente nel nostro caro, vecchio circuito musicale romano. Per la rassegna Strange Days, che aveva avuto già un felice prologo ad i primi di aprile di quest’anno (per voi abbiamo seguito gli Stereo Total ed i Brakes) ed una interessante evoluzione ai primi di settembre (c’erano The Pipettes ed i Tv on The Radio, ma non c’ero io…) il 4 ed il 5 Ottobre il Circolo degli Artisti cala il tris: la prima sera aprono i Catclaws e gli Ok Go, mentre il giorno dopo chiudono i Final Fantasy ed i ¡Forward Russia!. Vantaggioso anche il pedaggio da pagare: il prezzo della singola serata è di 12 euro, ma aggiungendone 3 si fa l’abbonamento per due sere, prendendo due piccioni con una fava. Sembra ok, no?Ed allora ok, go!
La sera del 4 è molto particolare. Ci attendono appunto gli Ok Go, un gruppo molto simpatico di cui abbiamo già avuto una anteprima a luglio, quando a Villa Ada, aprirono le danze per il mega evento dei Flaming Lips. Non ho scritto nulla in quella occasione e non ne sarei comunque in grado. E’ materia molto, molto complicata. I Flaming Lips sono una band rock alternativa psichedelica americana. Ma dicendovi così non vi ho detto nulla. Sappiate solo che esistono, e se lo fanno un motivo ci sarà (specialmente dopo più di vent’anni di attività…). Per tornare a parlare di cose più terrene, a livello di noi miseri e comuni mortali, gli Ok Go ci impressionarono moltissimo per il livello delle canzoni e per la personalità e la sfrontataggine con cui seppero tenere il palco. Nessuno dei presenti, credo, si scorderà mai il momento in cui il cantante, Damian Kulash, durante lo show scomparì sotto i teloni dietro il palco, mentre i compagni continuavano a suonare…tutti a chiedersi dove diamine era finito…ad un certo punto, a cinque metri alla nostra destra ce lo troviamo ad urlare sotto il palco a braccia alzate e dopo un paio di minuti di pogo furioso, risalire felinamente sul palco per riabbracciare la chitarra e proseguire lo show…
La serata viene aperta dai Cat Claws, band formata a Roma un paio di anni fa e composta da Lavinia (voce e chitarra), Valentina (batteria), Marco (chitarra) e Guido (basso). Vedo poco, ma trasudano Sonic Youth da ogni poro, sembra buon materiale. Alle spalle hanno un ep (Cat Claws Ep del 2004) e A Day as a Cat (2005), mentre dovrebbe essere imminente il lancio del loro album di debutto. Buona fortuna! Tra una birra ed un saluto ai vecchi amici, la pausa viene divorata e si rientra a caccia degli Ok Go. Purtroppo la generazione MTV ha invaso il Circolo stasera, tutti in attesa del balletto contenuto in qualche clip (come in Here It Goes Again, o A Million Ways, che secondo alcune voci è stato registrato con un budget di 24 dollari a Chicago, nel giardino di casa del cantante, ed ora è addirittura candidato a miglior video agli MTV awards di quest’anno a Copenaghen…) ma senza i tapis roulant sarà molto difficile…entrano carichi a mille, sparano subito un paio di pezzi niente male, tra i quali una fenomenale Get Over It, ma quelli lì, immobili, ad aspettare ancora il balletto. Il pubblico stasera mi dà ai nervi. Anche Damian si accorge che c’è qualcosa che non va, ferma tutto ed incita la gente. Addirittura offre 10 euro ad un tizio per prendersi un paio di birre e divertirsi di più (bella scenetta!). Riprendono a sfornare ottimi pezzi, senza soluzione di continuità, The Fix Is In è una altalena di emozioni, Don’t Ask Me la segue a breve distanza. Il gruppo (che oltre a Damian è composto da Tim Nordwind al basso, Dan Konokpa alla batteria ed Andy Ross alla chitarra ed alle tastiere) è quindi costretto a cedere su Here It Goes Again, ma senza balletto, e prosegue con una strabiliante Invincibile, esemplare gemma di indie rock, sorretta dal pubblico finalmente motivato. Molti sono i pezzi del nuovo album Oh No (2005, prodotto da Tore Johansson che ha già collaborato con Franz Ferdindand e Cardigans), seguito memorabile del debutto omonimo Ok Go (2002), maggiormente scanzonato e propenso a concessioni pop. Per il bis parte il fantastico show di What to Do, a questo giro con balletto incluso. Consigliabile vivamente l’acquisto!
Il giorno dopo tocca a Final Fintasy e ¡Forward Russia! Arriviamo con molta calma, davanti al locale non c’è tanta gente. Final Fintasy è il primo a salire sul palco. Si tratta di un progetto solista di Owen Pallet, violinista che ha collaborato con il micidiale collettivo canadese Arcade Fire, la mia infatuazione primaverile di quest’anno. Sale sul palco per presentare il suo secondo album, He Poos Clouds (2006), seguito del debutto Has A Good Home (2005). Nonostante non piaccia quasi a nessuno, resto ad ascoltarlo come incantato, non mi capita spesso di seguire un violinista del genere. Degne di menzione infine sono le immagini proiettate dalla sua collaboratrice, Leon Taheny su un telo sul palco. Addirittura, chiamato per il bis esce, ed affermando perentoriamente “This is an English song!”, sforna una cover violinista di A Modern Love dei Bloc Party, da restare a bocca aperta…Fuori inizia ad abbassarsi la temperatura, ottobre è arrivato alle nostre spalle con intenzioni crudeli, a quanto pare, ed a noi non resta altro che fare due chiacchiere sbrigative, mentre Lorenzo acchiappa un paio di magliette dei Forward Russia! (molto particolari con i due punti esclamativi di cui uno al contrario). Tra una sigaretta ed un paio di risate con Silvia e Carmela, un frastuono fortissimo proviene dalla sala adiacente. Hanno iniziato a suonare e si sente! Attraversiamo la porta aperta e ci troviamo davanti quattro ragazzi di Leeds con intenzioni bellicose. Il gruppo si è formato nel 2004, con una coppia di fratelli, Katie (batteria) e Whiskas (chitarra), oltre a Tom (voce e synth) e Rob (basso). La particolarità del collettivo è quella di offrire un punk violento ma imbastardito con disco – funk, grazie anche alla presenza di un sintetizzatore, anche se, a mio avviso sembrano essere passati un paio di volte a ripetizioni dagli At The Drive In. Hanno registrato un album, Give Me a Wall (2006) ed una cinquina di singoli ma con una particolarità: tutti i pezzi sono intitolati in base ai numeri (eighteen, twelve, nine, ecc…) per cui non vi starò qui a fare l’elenco di quelli che mi sono piaciuti o meno. Tom in particolare non sta un attimo fermo, le foto che ho fatto rendono l’idea del movimento perpetuo che fa sul palco, ma temo per la sua incolumità futura, se continua a stringersi la corda del microfono al collo….La guida sembra comunque nelle sicure mani di Whiskas, il chitarrista, molto bravo, ma a parte qualche bel pezzo, un paio di ottimi cambi di ritmo, l’uso sapiente del synth ed un continuo senso di epicità che si nota per la durata dello show, il tutto scorre come se fossimo sdraiati ad osservare nuvoloni neri e minacciosi che passano senza lasciare una goccia …
Finisce così questa due giorni di concerti e Strange Days si conferma una iniziativa singolare ed importante nel panorama concertistico della capitale, per la sua capacità di condurre un buon numero di gruppi interessanti e concentrarli in due giorni, abbattendo i costi degli show, ormai lievitati ad un livello eccessivo anche, se non solo, in Italia.

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