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dic 19

Modeselektor – Monkeytown

Proprio quando ci si sente pronti a trarre dei bilanci sull’anno che ormai volge al termine, siamo travolti da uno tsunami di nuove uscite che sconvolge del tutto gli scenari e ci costringe a riprendere in mano il fascicolo. Ragazzi, vi giuro, boccheggio! Il cosiddetto “Q4” del 2011 è stato discograficamente elettrizzante, tanto da salvare l’intera annata da un giudizio piuttosto sfavorevole – almeno secondo chi scrive. Di norma il mercato si gioca le sue ultime carte fra settembre e ottobre (dove si è fatta una buona pesca, miracolosa anzichenò, con i lavori di Casa del Mirto, Death in Vegas e Ada, per citare alcune gemme) ed una volta entrati nel bimestre prenatalizio arriva il tempo dei Mylo Xyloto o dei Buddha Bar e il sottoscritto tende ad andare in letargo. Quest’anno invece la tensione è rimasta costante fino all’ultima scena, per un 2011 veramente Hitchcockiano! …e i Modeselektor, guardateli, hanno  le mani sporche di sangue! Resta però da stabilire, in questo Cluedo alla rovescia, chi è la vittima.
Il duo berlinese arriva al terzo album – l’anticipatissimo Monkeytown (Monkeytown Records) – forte di un seguito ben nutrito e trasversale, la benedizione di stelle dell’elettronica quali Ellen Allien (militarono nella sua quotatissima etichetta BPitch Control) e di santoni del calibro di Thom Yorke che, con le sue lodi sperticate, gli svariati remix che continua tutt’ora ad affidargli, i tour spalla a spalla e le innumerevoli “ospitate”, sembra quasi che li abbia messi a libro paga. Se da un lato un tale background ci da una vaga idea del “peso” della elettro-band tedesca, dall’altro capirete bene quali fossero le aspettative riposte nell’ultima fatica di  Gernot Bronsert e Sebastian Szary. Chi ha bene presente i loro precedenti lavori ha probabilmente imparato ad amare il termine “anarchia espressiva” che spesso è stato associato al modus operandi della coppia kraut e dei loro numerosi collaboratori. Quella libertà con cui in passato sembravano fluire le idee, i generi e gli stessi idiomi, quella apertura mentale con cui venivano gestiti gli spazi, quel no alla lottizzazione musicale a tavolino che si percepisce ad esempio in Happy Bithday (BPitch Control 2007) ha evidentemente lasciato il posto ad una multiculturalità “controllata”, dove l’impasto di spezie ed ingredienti si è notevolmente impoverito, lasciando affiorare dal calderone – diciamolo – solo quei sapori che incontrano i palati dei più. Il risultato è un LP, Monkeytown, che probabilmente non rappresenta più quell’affascinante meltin pot che è la mia diletta capitale del Brandeburgo e che non è neanche più così orgogliosamente europeo – e quindi anche nostrano. Le specificità da posse fiero ed intransigente, la polifonia di realtà “centrosociali” del continente è sparita per esprimere un’idea globale, meno democratica sì, meno orizzontale ma che si sviluppa in verticale all’infinito e che mira ad arrivare ad un pubblico mondiale. I maligni penseranno senz’altro che l’obiettivo dei Modeselektor è stato quello di arrivare in cima alle classifiche, più che ai cuori, di un paniere di potenziali ascoltatori scientemente massimizzato; insomma di sdoganarsi, in parole povere. La sensazione c’è. Ma io dico che ci vuole coraggio a farlo. Perché l’album suona infinitamente meno caotico e gradevolmente denso. Una mente ordinatrice e selettiva (due menti, nel disco in questione) che taglia, sacrifica, e sceglie secondo criteri di efficacia ed omogeneità mancava ai Modeselektor, e se Monkeytown risulta più povero in quanto a spunti e sonorità, raggiunge quella compattezza necessaria per aver presa su un mercato, per darsi un’identità chiara e salda fra i tanti concorrenti, una riconoscibilità davvero internazionale.
E’ un disco massiccio e coraggioso quello dei Modeselektor, che intende proporre una vera alternativa al techno-hiphop della multinazionale Black Eyed Peas feat. David Guetta. Strizza l’occhio alle chart, certo, ma sotto-sotto combatte ancora per noi, sfida i mostri superproducer e lo fa con intelligenza. Ce n’è per tutti: Blue Clouds e War Cry sono ottime intro ed outro, sufficientemente impersonali ma profondamente propedeutiche all’album in toto, a ricordarci semplicemente che ogni disco comincia sempre con un fade in e termina immancabilmente con un fade out sul banco di missaggio. Il singolo rap Pretentious Friends, track no.2, è aggressivo ed ironico, come c’insegnarono ad essere i bianchi Beastie Boys. Motore del brano è una telefonata snob fra due protagonisti di un jetset immaginario, che con i loro accenti ghetto-style commentano improponibili gossip legati al red carpet di Cannes e all’acquisto di scarpe costose. Molto Los Angeles, anche grazie alla performance di Busdriver. Shipwreck e This, rispettivamente track no.3 & 10, inquietantemente simmetriche, sono i due ingombranti regali dello zio Thom. La prima deriva apertamente dalle session di The King of Limbs e al duo rimane ben poco da fare se non cedere il passo al genio e limitarsi a distillare l’arte altrui in veste di producer. D’altronde c’erano già abituati. Nella seconda, invece, le paternità sembrano più equamente ripartite, e i frammenti vocali di una Everything in its Right Place sono incastonati su una struttura IDM lineare ma efficiente, come Berlino città. Evil Twin, trak no. 4, tramortisce. Fidget alla ennesima potenza, violento ed affilato. Otto Von Scharich gli da quel leggero tocco hardcore che genera urgenza punkdanzereccia. E’ l’unica vera spacca dancefloor dell’intero album, ma vale per tre. All’interno, il duo declama enfatico e coatto il proprio nome nel break dopo il primo crescendo; questa è la prova inconfutabile del fatto che ci troviamo ad ascoltare l’ammiraglia della flotta Monkeytown.
Al centro, track no.5, troviamo German Clap, ballabile acido dall’animo breakbeat, costruita interamente sul pitch-bend di una unica e fortunata nota. L’epiteto “German” individua la cifra geografica dei Modeselektor, che ci ricordano, forse in maniera un po’ ipocrita, da dove hanno cominciato e quanta strada hanno fatto.
Track no.6 è la magnifica Berlin, higlight patriottico ma senza spocchia dell’LP. Il brano, strano a dirsi dal titolo, è in realtà un pezzo R&B fatto e finito, col quale i Modeselektor si appropriano e nazionalizzano una modalità espressiva “esotica”, la cui capitale diventa, con intento provocatorio, la non-proprio-così-soul Berlino. La voce di Miss Platnum, nera ma senza frizzi e lazzi da  black diva, permette l’ascolto anche ai più caustici detrattori dell’R&B come il sottoscritto.
Segue Grillwalker, track no.7, gommoso pezzo glitch, forse l’unica traccia un po’ di maniera di tutto il disco.
A consolarci della mezza delusione accorre la splendida e languida Green Light Go, Track no. 8, con la carezzevole lead voice dei PVT. Ascoltabile all’infinito, è una vera macchina per sogni, soprattutto con quella meravigliosa coda al vocoder che ricorda Hide and Seek degli Imogen Heap, un brano che da anni ormai svolge il duro compito di commuovermi quando il cinismo del mondo assordisce l’anima. Il contest “Pass the Mike” è vinto a mani basse dall’Anti Pop Consortium che spadroneggia sulla track no.9, Humanized, ennesima dimostrazione che l’Hip-Hop non ha più confini e che continua a mietere vittime fra i giovani grazie ad una incontestabile capacità di rinnovarsi. Andate a vomitare, se volete, ma poi ce dovete sta’.
Per concludere, Monkeytown è un’album paraculo ma accattivante, estremamente ben prodotto e sicuramente destinato a lasciare il segno, che vi piaccia o no. Nato per il successo, è meno sincero ed innovativo dei lavori precedenti, ma attira irrimediabilmente chi, come me, non disdegna i prodotti un po’ senz’anima ma ben confezionati. E’ pieno di featuring importanti che danno varietà e che, grazie alla direzione magistrale di Bronsert e Szary, non rendono il disco quel fastidioso guazzabuglio di talenti che rischiava di diventare. Io l’ho accolto senza pregiudizi e mi ha entusiasmato al primo ascolto. Quindi non spaccatemi i woofer. Piuttosto, raccontatemi di come i Modeselektor hanno suonato al Piper giovedì 15. Io purtroppo non ho potuto esserci e ancora mi mangio i gomiti.

Label: Monkeytown Records
Anno: 2011

Tracklist

01. Blue Chords
02. Pretentious Friends
03. Shipwreck
04. Evil Twin
05. German Clap
06. Berlin
07. Grillwalker
08. Green Light Go
09. Humanized
10. This
11. War Cry

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