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dic 16

Lydia Lunch feat. Gallon Drunk @Traffic

LYDIA LUNCH . photo by Carlo Alberto RIolo

Il lunedì non è solitamente tra i giorni della settimana che più mi volgo ad attendere. Questa visione subisce però un ribaltone il 5 dicembre, poichè il Traffic ha in programma una data del tour dei Big Sexy Noise, ovvero Lydia Lunch, accompagnata dai fidi Gallon Drunk, (glorie del rock alternativo britannico anni ’90). La cosa già di per sé clamorosa (nonostante tre esibizioni a Roma negli ultimi anni per la regina della no wave di New York) è ancor più interessante, visto che il “menù” prevede anche l’esibizione di altre due formazioni.
Giungo al Club quasi allo scoccare delle ore 22. On time per salutare l’ingresso in campo dei romani Fru!t. Si è in quaranta circa, a riversare su di loro le prime voglie di ottima musica e divertimento. Più di qualcuno li aveva già visti all’opera, me compreso, che li avevo incrociati nel gennaio di quest’anno al Sinister Noise. I Fru!t (Stax voce e basso, Hal alla chitarra e Caterpillar alla batteria), prossimi ai dieci anni di attività si fanno onore con un buon live proponendo un alt rock molto libero e disinvolto, impreziosito da incursioni in disparati territori (psichedelia, noise, hardcore, wave…). In alcune composizioni viene anche lambito il post-rock. Il cantato in inglese ben sorregge il loro spiccato interesse per la melodia e per il lo-fi. Il sound evidentemente corposo e carico, viste le influenze di genere sopra citate, presenta talvolta delle irregolarità nelle quali prendono forma suggestivi momenti di sospensione e riflessività. E anche un filo di malinconia che pervade le loro tracce. Al momento in cui scrivo ho in cuffia il loro Non – Prophet EP (2010) che contiene 4 pezzi originali e 2 rivisitazioni (All We Ever Wanted dei Bauhaus e Goodbye Horses di Q Lazzarus). Attendiamo la loro prossima e a quanto pare imminente uscita discografica (l’ultimo full-lenght Sacre and Propane risale a due anni fa).
Giusto il tempo di una pinta di birra che il palco è occupato dall’open band ufficiale di Lydia Lunch e company, i torinesi Avvolte (ex Avvolte Kristedha). Mettiamo subito in chiaro che non si tratta di ragazzi in cerca di un percorso artistico, ma di un gioiello dell’underground musicale italiano. Attivi ormai da quindici anni gli Avvolte hanno diviso il palco con Marlene Kuntz, Afterhous, Teatro degli Orrori, Gazzè, Benvegnù e tanti altri nomi altisonanti. Sono in tour per presentare il loro quarto album intitolato L’Essenziale è Invisibile agli Occhi, che consta di 11 tracce alle quali hanno contribuito ospiti del calibro di Roberto Angelini, L’Orchestra di Porta Palazzo, Sikitikis, Franz Goria, ex “capo” dei Fluxus (che band! Ve li ricordate?) e soprattutto di Lydia Lunch che recita dei versi nel brano apri disco Nessuna Rete. Gli Avvolte si esibiscono per un’ora palesando tutte le loro qualità. Curatissimi gli arrangiamenti caratterizzati da un alternarsi di momenti noise rock (con chitarre chiaramente vigorose, taglienti e distorte), a fasi di rallentamenti davvero ben calibrati. I testi sono brillanti, anzi vero e proprio punto di peculiarità (“Son le mie catene strette a sanguinare, son le tue sirene streghe ad incantare, sai l’amore è un lacerarsi. Un filo tra le mie e le tue tele, un siero per le mie e le tue pene…”). Il bravo Christian Torelli (anche ad una delle due chitarre) li canta, ora con delicatezza, ora con grinta, trovandosi a suo agio in entrambi i “mood”. Ciò che impressiona degli Avvolte è la compattezza di squadra e l’esigenza di affrontare un concept di natura filosofica (l’ignorare prodotto dall’assuefazione e l’indistinguibile che proviene dall’oscurità) che rende assai sconveniente lo scollegare singole tracce dall’esperienza totalizzante del disco. Stra-meritati gli applausi per loro da parte di un pubblico attento e partecipe, ma per la verità ancora non numeroso.
La sala si colmerà solo pochi minuti prima dell’ingresso in scena di Lydia Koch in arte Lunch (Lunch per i pranzi che era solita “scroccare” da giovane quando squattrinata viveva in una comune della New York di inizi ’80). La vediamo seguita dal chitarrista James Johnston in camicia da rodeo, e fiammante Fender Jaguar tra le mani, e dal “ciuffoso” batterista Ian White. Con mia somma incazzatura prendo atto dell’assenza del terzo Gallon Drunk, il polistrumentista Terry Edwards, fenomenale e decisivo al sax ed all’organo, a caratterizzare il suono dei Big Sexy Noise. Lo affermo con piena consapevolezza avendolo già visto all’opera all’Init non molto tempo fa. Che dire di Lydia, in un live report, quando occorrerebbe stendere su di lei una tesi di laurea? Riduttivo elencare le innumerevoli collaborazioni artistiche internazionali ed elogiare le sue esperienze nel campo del cinema e della poesia, o parlare dei suoi trascorsi di vita à la Trainspotting (“prima dell’adolescenza avevo già sperimentato mescalina, thc, marijuana, acidi, Quaalude, Tuinal, Valium e polvere d’angelo. Ero già una navigata borseggiatrice, taccheggiatrice, imbrogliona part-time” “L’inganno per me era la massima forma di libertà, una regressione della realtà, un posto in cui poter scomunicare il mio io da me stessa” cit.) e del suo nichilismo che la porta più volte a sfiorare la follia totale e dei suoi ricoveri mentali (“New York City, il parco giochi del diavolo, non mi corruppe. Ne fui attratta perché ero già stata corrotta. Dall’età di sei anni, il mio orizzonte era stato iperstimolato da un padre che non aveva alcun controllo delle sue fantasie, dei suoi istinti naturali o impulsi criminali” racconta nel libro Paradoxia). La sua musica è, sia pur reinventata ed evoluta nel corso del tempo, quella zozza mistura maledettamente sexy e selvatica di punk-blues-funk-noise-jazz noir e verve glam, la chitarra più distorta e garage-fuzz che mai, la sua voce ruvida e vetrosa, ineguagliabile sia nel cantato che nel recitato (un riferimento il monologo Your Love Don’t Pay My Fuckin’ Rent). Il suo estro eccitante e tagliente sembra non avere fine (Smoke in the Shadow del 2004 è un capolavoro così come lo era Queen of Siam del 1980). In un ora di live ci offre il meglio del repertorio Big Sexy Noise, dall’album s/t del 2010 e da Trust the Witch del 2011 (Gospel Singer, Dark Eyes, Doughboy, Cross the Line, Collision Course…).
C’è tempo anche per scambi di battute, baci e carezze ai fan delle prime file. Ce ne sarà anche per me (“giusto premio” dopo 5 live, progetto Sister Assassin compreso, vissuti sotto palco a mezzo metro dai suoi stivali da strega neri e un pò consumati) quando tra le risatine generali mi liscerà con i palmi delle mani “con gesti sapienti e prostituti” la “capoccia” rasata. Ad una ragazza che le urla “Lydia I love you” replica di scatto e fulminandola con lo sguardo “Hey girl, I just love myself” ribadendo la sua statura di nasty lady (un applauso del pubblico pagante lo sottolineerà). Non dimentica depravati appelli simulati con mani e lingua, prima di prendersi 5 minuti di pausa e tornare e stenderci tutti con Kill Your Sons, stravolgente cover di quell’altro mostro sacro di New York che risponde al nome di Lou Reed. Poi va via…
Il suo spirito e la sua arte ci hanno ammaliati e avvolti, sommersi e fatti affondare nell’oscurità tentando di strapparci la pelle, le difese. Lydia (citando il Lars Von Trier di Melancholia) è una sorta di “zia spezza – acciaio che crea grotte magiche”. Lo fa anche stavolta, come sempre.

4 comments

  1. Antonio

    Grande Carlo! Sei un concentrato di saggezza musicale di senso critico e di minuziosa osservazione! Complimenti!

  2. ferh®

    bell’esperienza karl…e naturalmente….keep rockin’ !!

  3. Sasy

    Sarà un caso ma è la seconda volta oggi che becco citazioni di Melancholia qua e là… Comunque, non ero al live e mi sto seriamente pentendo di non esserci stata. Fottiti Carle’. Affettuosamente! ;)
    Grazie ^^

  4. closer

    e pensa che manco gli era piaciuto il film al cinema…

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