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ago 21

Krake Festival Day 4

Berlino . Photo by Carlo Alberto Riolo.

Berlino. Il sole va giù. Si chiudono le saracinesche dei negozi. Strade deserte. Fra le 18 e le 20 traffico azzerato. Silenzio. E’ la fine del mondo? Gioca la nazionale? No, è solo il weekend che inizia.
Non è un’esagerazione dire che prima di cominciare un weekend a Berlino faresti bene a baciare in fronte i tuoi bambini. Quando esci di casa sai ancora chi sei. Due ore più tardi non sai più se tornerai. La musica (e così i treni urbani) non si ferma mai. La città recita il cantico dell’after. Il tempo non conta. Tutti sono tutti e tutti sono ovunque, insieme, che ballano. Il fine settimana a Berlino è una lunga giornata di 54 ore. Mentre scrivo sta per scoccare la diciassettesima.
Flashback. Rumore di musicassetta che si riavvolge. Weekend 1, 00:00 AM, inizia la coda davanti al Suicide Circle per il quarto appuntamento del Krake Festival. Ci guardiamo attorno: siamo al centro di uno dei tanti ground zero di Berlino, fra Warschauer Straβe e Ostbahnof. La scaletta di oggi è fitta; peraltro è anche divisa in due sale: una indoor, buio, strobo, proiettore, neon intermittenti, pavimento che trema in sync col beat – una outdoor, gazebo, sdraio in plastica bianca, recinto di bamboo e lampade da soffitto dell’Ikea – quelle che ricordano il vecchio logo della Parmalat sul latte a lunga conservazione. E’ impossibile stare dietro a tutti gli artisti della serata, in tutto undici. Anche a voler essere Padre Pio col dono dell’ubiquità, dopo la ennesima pils con una elle sola il dentro si mescola col fuori e la musica diventa un fiume. E non si capisce più un cazzo. Cerchiamo solo di non perderci l’esibizione di Legowelt, olandese volante e più di dieci anni di detroit techno. Attaccherà alle 5:00.
Prima di lui, le bordate ad onda quadra di Mika Vainio, Finlandia, e la horror-disco Detroit dell’ottimo Headnoaks. Le due ore di set di quest’ultimo sono di grandissima intensità. Mix di olimpica fluidità, beats con pedigree, presi dalle librerie dell’intramontabile TR-808, incessanti sedicesimi sul charlie. Jack your body, telegrafiche voci robotiche e la sirena di KillBill, di tanto in tanto. Analo-goduria.
Dopo due ore di warehouse days, zitto e composto arriva Legowelt. Addosso, solo colori primari, look nerd dalla testa ai piedi, biondo tipo malto. Placido come un figlio unico davanti alla scatola dei giochi, comincia ad organizzare i suoi mattoncini. La sua musica è fatta a strati, ognuno la sua tinta, la sua epoca, la sua provenienza geografica. Un nome, il suo, perfettamente azzeccato: Welt, il mondo, il nostro, ma fatto coi Lego. Aggiunge e sottrae continenti premendo un tasto sul suo Novation Launchpad. Ora l’Africa della mutant disco, ora il nord America della techno old-school, ora l’Italia di Giorgio Moroder e tanta, tanta eurodance. Lì in mezzo, ruggiti sintetici di animali digitali, inventati dal nulla, fatti di mattoncini che vengono da collezioni diverse. Urla amorfe dello Spaturno di Giobbe Covatta (chi se lo ricorda?) a segnare l’ingresso in un’altra sezione, come i versi che si fanno quando si suona in cerchio coi giambè. Se ne va da star, dopo appena un ora di set. Affranti, scegliamo di cambiare sala, dove ci accolgono la salvifica chill-matmosiana di Egoshooter e la minimalistica e rilassante miscela IDM di Global Goon. Cullati da questi due materni Dj assistiamo alla nascita del nuovo giorno. E’ stato come fissare uno screensaver, di quelli che colmano lentamente le distanze fra due colori passando per tutte le tinte intermedie. Meritatissimo e meditativissimo riposo. La cosa ci piace fin troppo.
Sarà che non siamo ancora abbastanza tedeschi. Oppure manca una elle alle nostre pils. Fatto sta che ce ne andiamo, Roma style, alla ricerca di un caffè a Kotti. Saluto i compagni, aspetto che apra il Kaiser’s sotto casa coi barboni e le loro buste di bottiglie vuote e scivolo nel letto. Con buona pace di Dj Flush. E’ appena l’ottava ora, non sono nemmeno lontanamente in “zona punti” ma sono felice. It’s a hard way to the top if you wanna rock and roll. E chi mi conosce sa dei limiti del mio fisico. Va bene così, l’after può aspettare che s’inneschi la ultracombo di domani: Krake 5 (Jimmy Edgar & Red Shape) più l’all-dayer “Fly Open Air” (Tiefschwarz, Seth Troxler, Ellen Allien). PAÜRA.
Forse dormire un po’ non è poi tutta ‘sta umiliazione.

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