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ago 29

ESMA – Energomash

Mi imbatto nuovamente su un lavoro di questo giovane ragazzotto, che si autodefinisce poliartista, ovvero Esma per tagliar corto. La mail che ricevo con la quale mi sottopone il suo materiale, desta sicuramente la mia attenzione a fronte della recensione fatta per il precedente lavoro The Lost Atoms, anche se scorrendo la discografia dell’artista, mi accorgo che mi son perso un John Galt tra i due. Discografia ricca, forse fin troppo visto che questo è il venticinquesimo album in ventinove anni di vita, e la media la lascio quindi calcolare a voi tenendo conto che non penso abbia iniziato a far album a un anno di vita. Ma ribadisco, affronto il tutto con una discreta curiosità, avendo come termine di paragone un precedente ascolto, posso ora formulare un parere forse più maturo riguardo a questo poliedrico ferrarese. Aprendo l’allegato alla mail, commetto anche questa volta l’errore di fare doppio click prima sul file pdf che descrive il lavoro: lo stile narrativo non è cambiato, una presentazione ricca di termini che provano a cercare di dare un senso a ciò che è difficile attribuire un significato permeativo in una scala di valori che in una contemporaneità attuale è un misto tra effimero e irrealtà, contaminato da aleatoria eventualità. Ci avete capito qualcosa? Immagino di no, ma è più o meno questo il registro utilizzato dall’autore\compositore per presentare il suo ultimo lavoro, ed anche in questo caso ho davvero delle difficoltà nell’esprimermi a riguardo perchè si tratta di ambiti a me poco simpatici e non capisco il bisogno di esprimersi in tali termini per presentare un lavoro musicale. Ma questi son forse problemi miei, quindi passo all’ascolto dell’album.
Energomash si apre con Adagio K599, partenza davvero in sordina con archi massicci e rumori di sottofondo, mentre piano piano si fa strada un’onda sinusoidale che accenna una melodia che mi ricorda un po’ “2001 Odissea nello spazio” la quale evolve in una lunghezza un po’ eccessiva che risulta un po’ pesante: siamo ovviamente di fronte a brani astratti, difficile descrivere eventuali emozioni o immagini perchè di fronte a questo materiale sonoro l’esperienza d’ascolto risulta davvero soggettiva, ma di sicuro si nota già da questo primo brano una maggiore consapevolezza da parte dell’artista. Si passa poi alla delicata spianofortata di Nor’easter Wind, nulla di particolarmente innovativo ma sicuramente un ascolto classico davvero gradevole. Poco da dire sul breve inserto di TESSERACT #2, una serie di arpeggi che si rincorrono, buona idea per una colonna sonora di un film alla Kubrick o alla Lynch. Dopo una partenza ricca di suoni, e due brani melodiosi, GAMA spezza nuovamente l’ascolto con questo inciso armonioso di cori femminili che si sovrappongono con una leggera serenità; peccato si tratti di un inciso, e quest’idea non venga sviluppata a pieno in un brano completo. Si torna al classico con Lost Garden of Heligan, dove ESMA recupera l’uso dello strumento a lui forse più congeniale, ovvero il pianoforte: in questo caso riesce a creare davvero una bella sonata, contemporanea, graziosa, ben strutturata, armoniosa, sognante e rilassante nonostante i suoi 8 minuti. Sparkaling mantiene in sottofondo una lontana registrazione di voce femminile, sembrano orari e destinazioni, aeroporto o stazione, o nessuna delle due; ci si appoggia sopra un malinconico accordo di piano che si tramuta in un secondo momento in note frastagliate, e sul finale si inseriscono sottili parti ritmiche: brano malinconico ed essenziale, ma anche in questo caso ben confezionato nella sua semplicità. Njugleè raffinato, ancora il piano a fare la parte del protagonista, anzi dell’attore unico: anche in questo caso Esma non fa certo sfoggio di virtuosismi, ma mantenendo melodie piuttosto semplici riesce a creare in questo caso un senso di pacatezza notevole. Di stampo più orchestrale è invece Sur la Dune du Pilhar e vuoi per l’utilizzo di strumenti diversi, vuoi per la struttura più concreta, anche questo brano mi rimanda all’idea di colonna sonora: fiati, ottoni, timpani, in una scura marcia verso questo luogo sconosciuto. Anche Roanoke riprende la forma utilizzata in precedenza in Sparkaling, ovvero una voce femminile narrativa, telefonica, molto ritmica nella pronuncia delle frasi, ma stavolta in primo piano sopra al tappeto di pianoforte che fa da contorno. Subentra lo spirito malefico di Margaret Lee in Vaudeville Instructions for a Quiet Life, e non a caso il brano si carica di inquietudine, di disagio; probabili quattro mani su piano guidate un po’ da isterismo, pazzia, ritmica veloce battuta da bacchette, forse piedi sul pavimento: improvvisazione o forse no, di sicuro c’è lo zampino di qualche essere mefistofelico in questi oltre nove minuti di non-brano. Sperimentale ma in un altro senso, la successiva Quantum Entanglement, dove c’è una piccola ricerca di suoni sintetici, buona l’idea ma anche in questo caso sarebbe stato interessante un approfondimento o uno sviluppo del tema. Si arriva poi a Prefab Fixed City, e si torna allo strumento principe con tastiera bianconera e pochi altri suoni nel lontano orizzonte; piuttosto poetico, si percepisce che è un brano sentito e che vuole comunicarci stati d’animo ma purtroppo anche in questo caso il tutto risulta un po’ troppo dilatato e a sè stante. Die Hexagon (che si rifà quasi sicuramente alla bella copertina di quest’album) è paesaggio sonoro, sfilata di accordi con voci recitanti chissà cosa, cori lontani, niente di troppo significativo. Conclude il tutto The Age Of Anxiety, un brano complicato, d’atmosfera ma con una ricchezza di suoni ulteriore, una ritmica strutturale appena accennata che tiene insieme divagazioni futuriste (tanto per rimanere in tema del scrivere frasi più o meno belle ma che se le rileggi hanno lo stesso significato di un testo di Vasco Brondi).

Insomma, cos’è Energomash e soprattutto com’è cambiato ESMA in quest’ultimo suo lavoro? Ci troviamo di fronte ad un album più classico, sicuramente molto suonato, con 3 tipologie di brani: quello corto e decisamente sintetico, che somiglia ad un esperimento per colonna sonora; quello con inserti parlati e tappeti sonori di sottofondo, che forse lascia un po’ il tempo che trova; le spianofortate classiche senza altre aggiunte. Queste ultime rappresentano sicuramente il meglio di questo lavoro, perchè è attraverso questo strumento che l’autore riesce a comunicare al meglio le emozioni, nonostante non si lasci andare a particolari virtusismi ma rimanga sempre ad un livello piuttosto semplice ma d’impatto. Per quanto riguarda invece la prima tipologia, personalmente non capisco se ESMA abbia appositamente voluto tenere questi brani come esperimenti, bozze sonore, spunti; sarebbe stato davvero interessante per quanto mi riguarda, se avesse speso più energie ad elaborare queste idee, piuttosto che investire tempo nella composizione dei brani della seconda tipologia, che come già detto, risultano un po’ asettici e non particolarmente innovativi, quasi un po’ privi d’anima. Ma c’è sempre tempo, per questo prolifico personaggio, per esplorare nuovi mondi…

 

Anno: 2013

Etichetta: La Cantina Appena Sotto La Vita

 

Tracklist:

01 Adagio K599

02 Nor’easter Wind

03 TESSERACT #02

04 GAMA, performed by Klod

05 Lost Gardens of Heligan

06 Sparkaling

07 Njugle

08 Sur la Dune du Pilhar

09 Roanoke (Cynthia After Raleigh)

10 Vaudeville Instructions for a Quiet Life, feat. Margaret Lee

11 Quantum Entanglement

12 Prefab Pixel City

13 Die Hexagon, feat. Klod

14 The Age of Anxiety, feat. Fred Cané

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