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apr 29

Tricky – False Idols

L’instancabile Tricky ci regala un nuovo lavoro, perpetuando una carriera lunga 25 anni (considerando l’esordio nel suo primo gruppo, 22 per quanto riguarda la carriera solista), carriera radicata ad un suono e uno stile tipico, che attraverso 10 album ha reso questo artista un caposaldo del genere. Un trip hop puro quello di Adrian, nato e vissuto ovviamente a Bristol (patria del genere), dall’infanzia profondamente segnata, cicatrice che si ripercuote a pieno nello stile di Tricky, estremamente cupo, malinconico, oscuro e sempre davvero poco rasserenante. Non è da meno questo suo False Idols, decimo album in studio composto da 15 brani in uscita a fine maggio, e recentemente presentato in Italia attraverso le date di Milano, Bologna e Roma.

 

 

Ma False Idols non è solo album, ma anche la nuova etichetta discografica di Tricky (l’album infatti esce su questa etichetta con supporto di !K7), e messaggio concreto di ciò che è il pensiero attuale che Tricky vuole appunto manifestare: un mondo dove la gente perde tempo a seguire le celebrità, un meccanismo che crea falsi idoli da seguire, un mondo che per questa ragione perde la sua direzione, la sua essenza, la sua genuinità. Una sorta di ritorno alle origini per questo artista, che trasuda in uno stile scarno ed essenziale, per far risaltare voce e testi, poesia sorretta da ritmiche e tappeti scuri. Somebody’s Sins apre il lavoro e fa subito percepire quale può essere l’indirizzo di tutto il lavoro: un ritmo lento e cadenzato, pochi suoni e una voce femminile alla quale quella di Adrian fa da eco. Si impone subito dopo Nothing Matters, pezzo più corposo, con una struttura canzone più completa, ma con un mood sempre tra il malinconico e il riflessivo. L’oscurità torna preponderante nella successiva Valentine, pochi suoni, voci ipnotiche che si alternano, un ritornello che entra in testa come in un film horror quando il killer perpetua un rito di uccisione. Più serena l’atmosfera di Bonnie & Clyde, sinceramente difficile riconoscerlo come pezzo di Tricky, struttura pop che l’orecchio dell’ascoltatore fonde con il trip hop solo dopo un po’ di ascolti. Parenthesis torna all’essenziale: pochi elementi circondano voci davvero strane, e una chitarra malata rende il tutto più inquietante; forse il manifesto del Tricky-pensiero, ovvero (come detto da lui stesso in comunicato stampa per l’uscita di questo album) un menefreghismo nei confronti delle opinioni, ma una concentrazione su sé stesso, un fare ciò che si vuol fare, un andar dritto per la propria strada senza badare ad ottenere consensi dalla massa. Ed è anche forse per questo che il fenomeno trip hop è sempre stato e sta rimanendo un qualcosa di underground, nonostante l’arrivo alle masse tramite pubblicità, apparizioni in colonne sonore o altro; un genere però molto arduo da digerire, permeato da un alone di malinconia che lo rende difficilmente accessibile alla massa. E d’altronde, Nothing’s Changed, nulla è cambiato da Maxinequaye, primo album del ’95 dedicato alla madre suicidatasi quando Adrian aveva 4 anni: splendido brano con la voce della partenopea Francesca Belmonte, che mantiene così la tradizione dei featuring all’italiana dopo Costanza Francavilla su Vulnerable e Veronika Coassolo in Knowle West Boy. Delicata la successiva If Only I Knew, ballata leggera che lascia trasparire qualche spiraglio di luce nel malessere generale. Ci troviamo di fronte ad un Tricky più produttore che cantante, l’album è infatti preponderante di voci femminili, come anche in Is That Your Life, dove una ritmica decisa supporta un cantato che sembra una Skin sussurrata e r’n’b, e una chitarrina scandisce momenti quasi funky; la voce del ragazzaccio di Knowle West arriva sempre e solo come sigillo, come firma. Tribal Drums è decisamente più sperimentale e profonda, una lenta marcia dove la voce femminile accarezza sfumature alla Kelis, un brano sexy ed ammiccante. Più elettronico il successivo We Don’t Die, preghiera per l’eternità che strizza l’occhio agli Atoms For Peace e a tutta quella corrente lì; rimaniamo comunque su una base fatta da pochi elementi essenziali, che si incastrano perfettamente tra loro rendendo i brani comunque completi, ma che alla lunga forse rischiano un po’ di stancare o di non colpire troppo l’orecchio dell’ascoltatore (ma d’altronde, il clamore non è mai stato un requisito fondamentale del trip hop, tantomeno di Tricky); punto di forza è però la breve durata media di ogni brano, che non appesantisce quindi l’ascolto dell’intero album che dura poco meno di 45 minuti. Chinese Interlude spezza sicuramente questo andazzo, è l’esperimento dove Tricky inserisce un cantato in cinese probabilmente (non lo so, non lo conosco), e ci regala un sorriso e un momento di relax davvero ben gradito.  Torna la voce della Belmonte su Does It e l’atmosfera torna cupa perché oltre alle voci non c’è altro che un basso perpetuo, una cassa e un clap e pochi altri suoni. I’m Ready è il pezzo di Tricky, quello forse più orientato alle influenze dei Massive Attack, mentre Hey Love è un brano immerso nell’immaginario dub ed ha davvero poco a che fare con l’amore. Conclude il lavoro Passion Of The Christ, brano dal titolo pesante quasi come le atmosfere che racchiude, ritmica scheletrica e spigolosa ammorbidita da tappeti di caldi archi dilatati che si alternano al sprechgesang (il cantato parlato) dell’artista.

Un album insomma che non porta niente di nuovo o innovativo al genere, ma che anzi lo riconferma come un perpetuo affermarsi di stilemi che caratterizzano una musica che potremmo quasi definire il blues del futuro, profondamente incentrata nella zona geografica in cui è nata e cresciuta, e che arriva nel resto del mondo sempre un po’ in punta di piedi e con sguardo inquietante. Come già detto sono davvero pochi gli spiragli di luce offerti da False Idols, un album che riconferma Tricky come artista\produttore essenziale per il genere, ma che identifica anche un punto di ri-partenza per la carriera dell’ormai quarantacinquenne inglese che pur rimanendo attinente ai suoi canoni non smette di stupirci; o forse ci stupisce proprio per questo reinventarsi mantenendo il suo stile. E in un’epoca in cui la musica ha già detto forse tutto (o parecchio), dove si fa fatica ad emergere e si fa ancora più fatica a rimanere a galla dopo lunghe carriere, non è certo facile essere Tricky e rimanere Tricky, e non diventare un falso idolo.

 

Anno: 2013

Etichetta: !K7 – False Idols

Tracklist:
01. Somebody’s Sins
02. Nothing Matters
03. Valentine
04. Bonnie & Clyde
05. Parenthesis
06. Nothing’s Changed
07. If Only I Knew
08. Is That Your Life
09. Tribal Drums
10. We Don’t Die
11. Chinese Interlude
12. Does It
13. I’m Ready
14. Hey Love
15. Passion of the Christ

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