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mar 19

Ordem – The quiet riot

a cura di Christian Panzano

Stipulare un patto di sangue con il rock è sempre stato pericoloso, sia per chi firma sia per il rock stesso, e in effetti nell’esordio degli Ordem c’è qualcosa che non funziona, ma è sostanzialmente attribuibile a dettagli sul cantato, a spunti in più che mancano, ma che in futuro verranno, a richiami in più che ora dormono, ma che un giorno si sveglieranno nella mente di questi cinque ragazzi di Asti. La costante proposta segue i tratti distintivi di un AOR maturo, mischiato con armonie di rock classico, temporeggiando un po’ qua e un po’ là in pause acustiche di pregevole fattura, persino queste però limitate nei recinti di un hard che una volta avrebbe accarezzato l’heavy. Nella folta ciurma di oramai 30 anni e passa fa potremmo scucire dal cappello di stoffa gente come Survivor, Tesla, Quiet riot e gli stessi Guns & roses, solo per fare dei semplici accostamenti. Sulle ballate si rischierebbe di allegare gli imprescindibili del rock come Bad Company o Whitesnake, ma The quiet riot (forse un omaggio?), opera prima dei piemontesi dopo ben 15 anni di gavetta, mutamenti di line up e assestamenti vari, non è certamente un concept di manierismi, dato che le 13 tracce ridanno a quella storia consacrante un connotato attuale, intervenendo chirurgicamente con endovene di sana amplificazione proprio dove parrebbe scontato il clichè. Destrezza, competenza e grande assennatezza sono gli elementi del moniker che ad oggi consta di due chitarristi, Dario Floro e Luca Garrone, un bassista, Marco Garrone, un batterista, Gian Marco Rebaudengo e un cantante, Dario Scalese. Determinante l’incontro con Massimo Visentin della sfr studiottanta/fortuna records, storico collaboratore di Paolo Conte, e l’appoggio de L’altoparlante di Fabio Gallo. A conti fatti un preambolo di gente che non nasce ora, ma che solo adesso riesce a trovare la possibilità di incidere, di farsi notare e nel mondo della musica purtroppo questo capita e spesso, direi, ma ben vengano i ritardatari per giusta causa. Si parte con No life che avrebbe potuto da sola fare epoca, ma che risulta evidentemente fuori tempo massimo e comunque merita un encomio particolare per la precisione millimetrica, per un cantato che non si perde in difficili intonazioni come in alcune occasioni tipo Istant’s mind, Shine on, Waterlily. Canzoni che melodicamente sono quasi perfette, ma che rischiano tanto nei backing vocals un po’ raffazzonati. Livello sufficiente per essential e la title track, non basta l’effettistica da trip hop che scende di contorno con la ritmica sempre al centro della scena. In alcuni brani come Mayf che è splendida, Everything e Us, quel pesante riferimento alla tradizione si sgretola in qualcosa di un po’ più rock tra Queen e Pearl Jam o giù di lì. Perfetta invece Surrenders to rise, momento indimenticabile dell’album con un ritornello che non esce dalla testa per almeno 48 ore, e questo è un ottimo segnale. Il rischio è quello di rimanere ancorati ad un genere abbastanza codificato, che dopo poco tempo fornisce pochi spazi di manovra e rari spunti di autonomia, ma credo che le carte nel mazzo siano di più di quelle proposte in questo Quiet riot, che non fa sbadigliare ma nemmeno ci fa saltare dalla seggiola dopo essere stati sorpresi da un’illuminazione divina. Un po’ sulle sue, ma un buon inizio.

Anno: 2013
Label: Studiottanta Fortuna Records

Tracklist

1-No life
2-The scent of life
3-The quiet riot
4-Essential
5-Istant’s mind
6-Surrenders to rise
7-Brand new song
8-Shine on
9-Everything
10-Mayf
11-Edges
12-Us
13-Waterlily

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