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mar 04

Le Allusioni di Gionata Mirai (Il Teatro degli Orrori)

Gionata Mirai

A cura di EriBluff

25 Gennaio 2013. Arci Bellezza. È in locali come questi che apprezzi Milano. Un palco, una stanzadalle luci soffuse che aspetta di essere ipnotizzata e un tavolino. Ci sediamo. Davanti a me Gionata Mirai. Sottofondo musicale: Eddie Vedder.

 

 

 

 

 

 

“Pizzicare le corde di una chitarra è per me ciò che per voi è mangiarvi le unghie”.
Questa frase l’ha detta Leo Kottke. La sua musica è basata su un attacco vigoroso e dal
sapore quasi ossessivo. Te lo nomino in quanto ho notato una forte analogia con la tua
musica. C’è realmente una correlazione tra di voi?

Io adoro Leo Kottke. Lo adoro da quando ero bambino e ammiro il suo modo di pizzicare le
corde della chitarra, ha una tecnica invidiabile fondata su un’attitudine percussiva e molto
ritmica.
Ho cominciato a suonare la dodici corde proprio grazie a lui. Lo ascoltavo da ragazzino dai
10 ai 15 anni, poi l’ho dimenticato e l’ho riscoperto ultimamente guardando dei suoi video su
youtube (un video suo molto bello è dei primi anni ’70 e si intitola “Vaseline Machine Gun”
dove c’è lui che fa questo pezzo davvero assurdo). Questa riscoperta mi ha fatto prendere
consapevolezza che anche io, in qualche modo, potevo fare certe cose con una dodici corde
ed è stato un piacere farle con questo maestro alle spalle.
Sto lavorando per fare in modo che lui ascolti i miei lavori e per cercare, un giorno, di
confrontarci proprio su questo. Lui ora è anziano, ha più di settant’anni, ma è ancora un
musicista attivo ed è spesso in tour negli Stai Uniti. Io ho avuto la fortuna di vederlo tre
volte qui in Italia: una a 10 anni, una a 16 e una a 20, mi portarono la prima volta i miei
genitori e lo scoprii grazie a un amico di famiglia che spesso portava a casa nostra diversi e
numerosi dischi di musica folk. Quando lo vidi suonare dal vivo ne rimasi folgorato.
Leo Kottke è l’esempio di uno che parla attraverso le dita, e il modo in cui ti comunica è
molto più importante di quello che sta dicendo in sè.
Potrei andare a parlare ore di Leo Kottke, forse è meglio che mi fermi.

Cos’ha fatto scattare in te l’idea di creare una suite in cinque movimenti caratterizzata
da una vena ipnotica in grado di creare atmosfere così semplici e immediate?

Il tutto è nato casualmente, è stato razionalizzato poi e, una volta razionalizzato, è stato
ulteriormente sviluppato.
Quando ho preso in mano la dodici corde non credevo di saper suonare così, me ne sono
accorto quel giorno.
Tecnicamente “Allusioni” è un arpeggio solo, protratto per mezz’ora. In questa mezz’ora ho
cercato di approfondire tutte le possibilità su tale arpeggio e dare un senso circolare e
organico a una cosa che, non avendo voce, e quindi priva di indicazioni di contenuto,
doveva riuscire ugualmente a trasmettere concetti. Questo disco è una cornice di suoni
dentro a cui l’ascoltatore va a mettere il proprio contenuto, va a riempire questa cornice. Se
alla fine dell’ascolto del disco sei riuscito a pensare ad altro vuol dire che il disco ha
funzionato, in quanto ti ha portato da qualche altra parte, vuol dire che il contenuto della
cornice ce l’hai messo dentro te. Questa è la causa scatenante del lavoro in sè. Il disco è nato
da un’idea parallela o sottostante alla canzone cantautorale e va a lavorare su livelli diversi
di immaginazione e di approccio alla musica.
Adesso ti prendo e ti porto a fare un giro, non so dove andiamo, non so come ci andiamo,
ma so che ci andiamo, questo è. Quando abbiamo concluso il nostro giro, ti sei divertita? è
successo qualcosa? Hai visto altro rispetto alla tua visione abituale? Se si, vuol dire che il
giro ha avuto un senso, se in te non è successo niente allora il senso non l’ha avuto. Il mio
obiettivo è far si che la mia musica abbia un senso. Quando suono cerco di sapere
abbastanza bene quello che sto facendo da poter non pensare e andare anche io altrove, se
poi questo avviene anche in chi mi sta ascoltando vuol dire che ha funzionato, e se uno si
addormenta, va bene uguale, l’importante è che succeda qualcosa.
In “Allusioni” le note si muovono tutte intorno a una nota principale, se tu grazie a questa
concatenazione ti sei distratta e hai potuto pensare ad altro, per esempio anche solo a come
potrebbe essere una mattina in un modo diverso da quello che realmente è, vuol dire che il
disco ha funzionato.

“Allusioni” è una suite di 24 minuti che penetra nella testa di chi ascolta in modo
immediato. Ti fa vivere un viaggio quasi interrompendo lo scorrere fisiologico del
tempo dentro di te. Qual è per te lo scopo della musica in generale? Credi che possa
coincidere con questo?

Penso che lo scopo della musica oggi sia, al 99% delle volte, distrarti proprio da questa cosa
ed evitare che tu abbia un rapporto con te stesso di un certo tipo. Oggi serve la canzonetta
per farti parlare d’amore malamente e per farti dimenticare cosa sei tu e cosa è l’amore.
Originariamente la musica nacque con un senso diverso, legato fortemente alla vita delle
persone, che fosse la religione, la terra o il passaggio delle stagioni, adesso la musica è puro
intrattenimento, è il togliere la tua attenzione sul tuo centro.
Bisognerebbe riuscire a vivere la musica anche come un momento di presenza dentro a se
stessi o dentro a quello che si sta ascoltando, che non è una cosa poi così immediata. La
musica avrebbe un senso diverso se fai della musica per celebrare, per dare un senso a
quello che vivi quotidianamente, è lì che assume reale valore. Se sei un operaio e lavori 12
ore al giorno per tutti i giorni della tua vita, quando arrivi a casa alla sera e ti ascolti gli
Area, ti girano i coglioni in un modo che il giorno dopo se vuoi vai, prendi e spari al tuo
capo in ufficio, questo però vuol dire che la musica ha assunto un ruolo diverso da quello
che era in origine, non è giusto nei confronti della musica darle un ruolo di fuga dalla realtà,
è sbagliato. La realtà dovrebbe essere molto più figa di quello che è e la musica dovrebbe
essere molto più dentro alla realtà di ognuno di noi in ogni momento.
In questo momento sto ascoltando Toni Bruna, è l’unico cantante che sono riuscito ad
ascoltare negli ultimi due anni e mezzo. Lui è uno che sta raccontando la sua vita in termini
che vanno bene per tutti, con un candore, una purezza, una semplicità e una superiorità
rispetto al mercato musicale. Abbiamo suonato insieme dieci giorni fa a Torino, è passato a
Torino per poi iniziare il tour in Francia e in Spagna. Lui è un falegname di Trieste ed ha una
purezza formidabile nell’approcciarsi alle cose. Quando è uscito “Allusioni” ho fatto una
data all’inizio del tour nel 2011 a Trieste ed era presente anche lui con la sua donna, lui è
timidissimo, è stata infatti lei a lasciarmi il suo disco. Dopo quella data ho fatto trenta
concerti per i fatti miei, tra cui una decina di date in Puglia e in Campania, durante quel
viaggio ho attraversato il sud Italia percorrendo in macchina diversi km e ascoltandomi
unicamente il suo disco, solo quello per circa sei ore in repeat. L’unica volta che mi è
successa una cosa del genere è stato ascoltando “American V: A Hundred Highways” di
Johnny Cash, lo so tutto a memoria quel disco, conosco ogni singola virgola. Capisci che
finchè ti capita ascoltando Johnny Cash, che è dal ’51 che c’è e le cose belle in 50 anni ti
arrivano è anche normale, ma se quel disco in macchina è di Toni Bruna, 34 anni e un disco
che se l’è stampato per i cazzi suoi e io mi ritrovo a non ascoltare altro da circa sei mesi,
vuol dire che mi ha fatto lo stesso effetto che mi ha fatto Johnny Cash e quindi che ha un
certo spessore. Credo che il suo disco sia incredibile, racconta cose con la purezza di uno
che non ha niente da perdere a raccontarle. Ha fatto un tour in America, cantando in
triestino, dove ha ricevuto grandi ovazioni. La paranoia dell’inglese è una cosa nostra: di
solito quando ascolti una canzone in inglese solitamente non capisci ogni singola parola di
quello che viene cantato, la prima botta non sono mai le parole. E lui si è ritrovato a Los
Angeles a cantare in triestino.
Il suo album “Formigole” lo farà uscire un’etichetta di Milano verso Febbraio credo.

Guardando la tua biografia e i tuoi lavori, la prima parola che mi è venuta in mente è
stata: Movimento. Quanto è importante per un artista restare costantemente immerso
in un vortice di attività e movimento, senza venire divorato dalla passività e dalla noia
del non-fare o della ripetizione?

E’ una bella domanda.
Credo che stia all’artista trovare un modo per non finire in questo vortice di noia. La noia
può anche non essere il non fare niente, può essere il fare cose senza l’interesse di quello che
stai facendo, piuttosto, per non finire mai in una situazione del genere, faccio la fame una
settimana in più. Non voglio lavorare per forza nell’ambito musicale, piuttosto faccio altri
lavori, perchè la musica è una cosa che ha a che fare con la passione e le emozioni di un
certo tipo, per cui dover fare il musicista per dover campare è per me una tristezza. Ho fatto
l’assicuratore nella vita quindi, non dico che “piuttosto faccio l’assicuratore”, però capisco
cosa significa dover lavorare per dover lavorare e non voglio che la musica sia così.
Quando ho fatto “Allusioni”, dopo che ho visto video di Leo Kottke, sono stato per tre giorni
zitto e fermo ad assorbire questa cosa che stava venendo. Avevo appena finito il tour di “A
sangue freddo” con il Teatro degli Orrori, per cui non avevo niente da fare e non dovevo fare
niente almeno per un mese. Questo “non fare niente” non è stato improduttivo, anzi, è stato
estremamente attivo, mi ha permesso di innestare l’incipit di una base su cui si sarebbe
sviluppato l’intero disco. Bisogna avere idee interessanti per poter uscire e lavorare, quello
che è successo a me l’anno scorso è stata una cosa di questo tipo: un’idea interessante e
molto semplice, con un certo costrutto sotto, che mi ha permesso di lavorare per qualche
mese, anche se non è un lavoro, potrei fare molte più date e molti più soldi con “Allusioni”,
ma non mi interessa in quanto non voglio trovarmi un giorni in cui ho un concerto senza
avere la voglia di farlo, ma doverlo fare per quei 200-300 euro che mi arrivano, ripeto,
faccio la fame una settimana in più.

Come consideri la cultura musicale in Italia?

La “Touch and Go” era un’etichetta indipendente degli Stai Uniti che adesso ha chiuso da
due o tre anni e hanno lavorato da fine anni ’80 fino a qualche anno fa, era un’etichetta fatta
da musicisti, quindi non c’erano contratti scritti, non c’era la questione soldi. Funzionava con
la seguente logica: io ho speso tot., ci guadagno 2 e il resto è tuo perchè sei l’artista ed è roba
tua, questo concetto ha funzionato negli Stati Uniti per vent’anni e ci sono un sacco di
etichette così, in Italia è quello che era all’inizio la Mescal che originariamente si chiamava
Vox Pop e l’approccio che aveva è molto simile a quello dell’attuale Tempesta, un’etichetta
fatta dai musicisti, da persone che suonano e capiscono tutti i tuoi problemi, e che vogliono
spingerti per il gusto di farlo. I Tre Allegri Ragazzi Morti, che sono poi fondalmentalmente
La Tempesta, non hanno il problema di dover guadagnare su di me o sul Teatro degli Orrori,
di partenza potrebbero offrire servizi e chiedere soldi, insomma fare l’etichetta, ma siccome
è gente che suona e sa cosa vuol dire, il senso da cui partono è: io ci metto due soldi, tu ci
metti due soldi e facciamo questo disco, quando siamo rientrati dai soldi che abbiamo speso
insieme, il resto è tuo perchè sei un musicista ed è giusto che sia tuo. La Tempesta è
un’etichetta basata sul presupposto della non speculazione. Quando le cose le fai
gratuitamente e hai passione, molto spesso queste cose vengon bene, perchè c’è l’amore
dietro, se tu ci metti dentro il fatto che ci devi guadagnare, si sputtana come idea quel
principio subito.
La Tempesta è costituita da gente che crede e che ha creduto nei progetti che fa senza dover
per forza guadagnarci sopra. Il problema non è che son pochi quelli che hanno questo
atteggiamento, ma son tanti quelli che non ce l’hanno. Con la Tempesta ha sempre
funzionato così e in questo modo ha recuperato una serie di gruppi interessanti, ha fatto una
serie di uscite interessanti e si permette di fare dei festival da sola, senza l’aiuto di nessuno.
L’idea è quella che noi facciamo le cose perchè ci piace farle, non perchè si vuole diventare
ricchi, e guarda a caso queste sono le cose che vengono meglio.

Sei felice delle scelte che hai fatto da inizio della tua carriera?

Di alcune no, ma della maggior parte si.
In certe occasioni avrei dovuto evitare di suonare e non accettare alcune situazioni, il fatto è
che, finchè sei in un gruppetto indie e fai le cantine è facile fare i grossi, ma quando sei
all’interno di una macchina che ha una struttura un pò più complicata diventa difficile dire
no.
C’è da dire però che io sono uno abbastanza estremo per certi aspetti e avrei saltato un sacco
di cose che forse è meglio che le abbia fatte.

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