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feb 09

My Bloody Valentine – MBV

a cura di Lorenzo Vermiglio

Parte I.

Una mattina di dicembre accendo una sigaretta mentre guardo un cielo di alluminio aspettandomi un segnale.
Passano dei minuti e spengo la sigaretta ragionando sulle aspettative disattese.
Solo dopo alcuni giorni capisco.
I Maya li adorano, i My Bloody Valentine.
Potrebbe succedere, alla fine. Dopotutto il tizio che suona la chitarra, a chi gli ha sempre chiesto della fine del gruppo, ha sempre risposto che no, non si sono mai sciolti, che assurdità.
Ma è anche vero che da qui all’effettiva possibilità di pubblicazione di qualcosa è passato qualche anno.
‘Il ventuno Dicembre duemiladodici abbiamo finito di masterizzare il nuovo album’.
Punto esclamativo.
Succederà.
Sarà insopportabilmente datato. E’ passato troppo tempo, troppe cose in mezzo, la rinascita delle chitarre finte, il movimento neoavanguardista dei Radical/Hipster ed il loro Testo Sacro Digitale, il revival dei novanta, le reunion, l’elettronica intimista, il Primavera Sound, quel cazzo di Sofia Coppola.
Sarà brutto, pesante, sovraprodotto. Sarà Chinese Democracy.

Sopravvivo ad una serie di 403 e guardo lo schermo. Giusto. Non c’era altro titolo possibile.
Quando parte She Found Now siamo di nuovo in Kansas. Tutto quello che c’è stato nel mezzo si liquefa. Ci sono i canyon di chitarre, un oceano e mezzo di feedback, rotovibe, tremolo, delay, reverberi. E quella voce.
Mi viene in mente subito ad una sola cosa. Questa è roba nostra.

Parte II

Ora, non è tanto la parte tecnica.
Il tizio che suona la chitarra, parlando dei remasters di Loveless ha spiegato che se ascolti bene, alla fine del disco avrai sensazioni ‘completamente differenti’ rispetto all’originale, ‘if you’re slightly into it’.
Ecco, io sono uno di quelli. I dettagli.
C’è il momento optical/Stereolab. Il momento sunshine-nichilista/Joy Zipper. Entrambi codificati secondo il loro linguaggio, ovviamente. C’è In Another Way che è Soon sotto lsd abbandonata in una stanza bianca senza finestre a godersi gli incubi, tirata fuori, imbottita di antipsicotici e lasciata lì ad allucinare. Nothing Is è un esercizio del tutto autoreferenziale per dire sì, ok, aspetta cosa arriva dopo. Perché Wonder 2 non è neanche una traccia. E’ ovunque. Da adesso in poi.
Ma è nelle prime tre tracce, tutte eccezionali, che si avverte lo spostamento creativo più importante.
C’eravamo lasciati con loro lì e gli altri giù. La distanza. K. e B. che registrano da soli, senza permettere a nessun’altro di entrare in stanza. Quella distanza, incolmabile, diventa un suono interstellare, maltrattato, bruciato, quindi soffocato spectorizzato e compresso ripetutamente, in modo psicotico, fino a snaturarlo dal concetto stesso di suono per renderlo una forma espressiva assoluta, fluttuante e monolitica, paragonabile all’imperturbabilità ideologica della geometria della sfera.
Qui no. Qui in mezzo ai canyon ci sono pezzi di cristallo, chiusure disordinate, sibili, click, strascichi analogici. I contrappunti in Who Sees You e la coda di Only Tomorrow hanno della partecipazione emotiva. Aperture abbaglianti e fratturate, quasi esuberanti, rispetto agli standard antinaturalistici della loro ultima versione.
Il blocco di ghiaccio a spigoli vivi lanciato nell’iperspazio nel 1991 viene riportato giù a poche migliaia di metri dal suolo, visibile ad occhio nudo, con scalfiture, tagli, superfici ruvide, linee imperfette. Inteso nel senso migliore possibile.
Il flusso cosmico dei primi Flying Saucer Attack. Valvolare, primordiale, vivido.
Ma non è tanto la parte tecnica.
E’ quel modo implosivo di raccontare l’introversione che è ancora lì, immutato.
Incredibilmente.
MBV è un disco bellissimo.
Per tutte queste ragioni. E per molte altre che non mi va di spiegare.

 

Label: Autorpodotto
Anno: 2013

Tracklist:

1. She Found Now
2. Only Tomorrow
3. Who Sees You
4. Is This And Yes
5. If I Am
6. New You
7. In Another Way
8. Nothing Is
9. Wonder 2

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