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gen 24

Rusconi – Revolution

a cura di Christian Panzano

Lo so, direte voi, arrivo in ritardo sul pezzo. Ma chi se ne frega ? Armeggiavo con plettro e washburn alle venti di sera e la cosa più idiota che stavo ascoltando era l’ultimo album di Neneh Cherry con i The Thing. Non ho mai sopportato Mats Gustafsson e quel rossore in viso che gli si crea mentre sbuffa nel sax, figuriamoci la piccola Neneh il cui ultimo ricordo vivido è il video di Buffalo stance con quel cappotto color oro inguardabile (non esageriamo dai, la ragazza ha fatto di meglio) . Dicevo, giocherellavo con le corde della mia acustica e nel mentre mi capita di cliccare su un sito che a sua volta mi rimanda a un gruppo, i Rusconi. Per un attimo medito rancoroso: Rusconi? Ma non era uno scultore? Ma no idiota! Sarà stata sicuramente una famiglia nobile. Mi sento la testa che gira, la solita sensazione che un uomo ha quando non riesce a ricordare una parola semplice o nomi di oggetti tipo mestolo o racchetta o portaocchiali o che so altro. No ! Rusconi era un cestista! E ritorna ancora quella sensazione che fa salire il latte alle ginocchia dopo una lezione di spagnolo all’università piegati a non capire i verbi irregolari. Pessimismo e fastidio direbbero alcuni. Mi rilasso, bevo un bicchiere di bianco d’Umbria e inizio a pensare che magari se ascolto l’album, per inciso si chiama Revolution, nome quanto mai originale, riesco a capirci pure qualcosa. E allora si parte nel viaggio cosmico (tempelhof) dove un pianoforte viene titillato a ritmo di fischietti umani e clap clap. Iniziamo bene. Poi parte il contra con riassetti deep e lanci jazz AOR (perdonate l’accostamento pretenzioso) . Direi che come intro non c’è male. Il primo pezzo mi fa venire emicranie sconvolgenti e sensazioni di diluvio stomachevole. Forse è il bisolfito. Alla luce di tutto ciò, la mia mano destra inizia a prendere il tempo. Rimetto al suo posto la washburn e mi piazzo il plettro tra i denti. Ma certo il primo pezzo è assolutamente da riascoltare. È, diciamo, una specie di Eye of the tiger con scazzo variegato e jazz puritano. Ora il vino va giù un po’ meglio. Nel frattempo mi accorgo di due cose :
1 – i ragazzi sono tre e sono svizzeri, ci ritorneremo poi.
2 – l’album di cui sopra è uscito tre mesi fa. Meglio tardi che mai.
La seconda (Milk) traccia è seriale. Sembra di ascoltare un Bill Evans con più enfasi. Il semi silenzio finale è quanto di più bello ascoltato nel jazz anni 50, quando il modale dava schiaffi al vecchio mondo wagneriano. Mollo il plettro sul tavolo, si perderà tra i libri e le matite e non lo ritroverò mai più. La situazione si fa caustica e l’atmosfera diventa thriller. Arriva Alice in the sky con Fred Frith.  No ragazzi scusate, allora non ci ho capito niente. Fred è di un altro pianeta, lo sanno tutti, non certo quello degli umani dalla pelle rosea. Frith mi ricorda Angeli Paolo. Ma non divaghiamo, perchè detta così anche Paperino risulta citazionista, tanto per il piacere di vagare randomico. Stringendo il cerchio, questi Rusconi se la cavano soprattutto con le atmosfere, ricreando scenari passati con treni merci sferraglianti alle 2 di notte in una stazione europea con  qualche inter rail kids lì col suo bel sacco a pelo a rimirar le gesta della tecnologia o a soffrir d’insonnia oppure l’umore ramingo di qualche astante della nostra bella Italia che attende il primo espresso per Bari e gli tocca gelare su una panchina della stazione di Bologna o a Porta Susa in una notte autunnale alla fine degli anni novanta. Senti l’odore del ferro e senti un mare lontano che non tocca la tua pelle. I Rusconi sono questo, almeno per me, ma non saprei dire quanto immensamente altro. Mi sa che vi tocca ascoltare l’album! Alice…è un pezzo lungo ma non annoia. Le scene sono ripetute. Sono brusii di jazz looppato, stropicciato fino a farlo piangere poiché preanuncia l’inverno ipnotico. Il piano gracchia e la slide piange ombre di stecchi incurvati sui fiumi di Berlino. La quarta traccia (Berlin blues) ridicolizza questa atmosfera fragile per trasferire le emozioni del cervello su uno stride jarrettiano e roboante dove le spazzole sprizzano la prua della nave Svizzera (ovviamente inesistente, quando mai la Svizzera ha avuto una marina? semmai alpini ben addestrati e grappa a go go). In questo brano si lotta contro le pause classiche, per non destare spazi ai momenti di ripensamento glaciale. Stessa solfa per Massage the history again. Ma torniamo alla Svizzera per un istante. No, ditemi quale pazzoide musicista possa tirar fuori dallo spartito note del genere provenendo dalla Svizzera? Capisco il cioccolato o il formaggio e tutti i composti nutrienti che la neutralità ha elaborato in tutti questi anni di armonia e paradisi bancari, ma la ditta Rusconi, eccetto il nome, di svizzero non ha nulla. Avrei giurato fossero islandesi o della Groenlandia ascoltandoli. Provate a sentire il finale dirompente di Massage the history… e contradditemi. Saltiamo Kaonashi, sesta traccia, che non aggiunge nulla di nuovo al già citato e l’orecchio armonico approderà a False awakening. No, non è la base karaoke di un pezzo dei Dream Theater e nemmeno un lounge in sala mensa poco prima della timbratura, col sottofondo di bicchieri sfrigolati l’un l’altro. È Morricone feat Goblin, è phatos riempito di carne impura, è paura e delirio a Basilea, ma è un pezzo troppo breve. Lo so, non mi accontento mai. In ultimo (Hits of sunshine) un bel gioco a ritmi continui tra suoni drum e bassi irresistibili, piano free e space echo esagerati. Sono Stefan Rusconi, Fabian Gisler e Claudio Struby tra avant, minimal grattugiata, prog e sinfonia con stimmate jazz e pop. Insomma manca la polka, il valzer e l’acusmatica e abbiamo fatto bingo. Poco più che trentenni hanno già all’attivo una grossa esperienza live e in studio e questo Revolution conferma i connotati di una band che ha stoffa da vendere e ancora parecchie cartucce da sparare. Scopriteli per chi ancora era a digiuno di rivoluzione. Proprio come me, ignorante come sono.

Anno : 2012
Etichetta : Beejazz

Tracklist

1 – Tempelhof
2 – Milk
3 – Alice in the sky
4 – Berlin blues
5 – Massage the history again
6 – Kaonashi
7 – False awakening
8 – Hits of sunshine

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