«

»

lug 20

The Jesus and Mary Chain @ Ferrara Sotto Le Stelle

1È la calda domenica del terzo weekend di luglio, se ne stanno per andare i tantissimi figuranti, musici e sbandieratori che hanno colorato Ferrara durante la Tenzone Argentea, per lasciare spazio all’oscurità degli avventori dell’unica data italiana dei The Jesus And Mary Chain. Già nel tardo pomeriggio infatti, il centro storico ferrarese inizia ad essere popolato di loschi figuri, gente con un’età, teenager di una volta, tutti pronti a celebrare i trent’anni di PsychoCandy, e per l’occasione, si vede che tutti hanno studiato a puntino il loro outfit. È la sagra della t-shirt, un aspetto sociologico-modaiolo che ha sempre attirato la mia attenzione ai concerti, ed in una data come questa non mi aspettavo di assistere a cotanta (a volte coerente, a volte no) varietà: a casaccio riesco a registrare Nine Inch Nails, Wilco, Depeche Mode, Slipknot, Joy Division, Echo and the Bunnymen, Sonic Youth, Verdena, Cure, Einsturzende Neubaten, persino Daft Punk. Ovviamente la maggior parte degli avventori indossa la maglietta simbolo, quella dell’album che ci si ascolterà dal vivo, maglietta che qualche anno fa è stata prodotta anche in collaborazione con una prestigiosa casa di moda, maglietta che per questo motivo costava centinaia di euro e non aveva nulla da invidiare a quelle vendute nel baracchino dietro alla postazione mixer… ah, che mondo strano quello della moda, non lo capirò mai. Ad ogni modo la mia indagine sociologica sugli avventori di questo concerto prosegue in maniera vivace, anche se in realtà i casi di studio non sono moltissimi; una piazza che si riempie lentamente durante l’esibizione di The Sleeping Tree, cantautore italiano che con la sua bella voce e la sua chitarrina riempie i tre quarti d’ora che impiega il sole per tramontare dietro piazzetta della Luna, ovvero la parte retrostante al palco. Ed è proprio quando calano le tenebre, che si mescolano con il colore predominante del pubblico, che viene issato il fondale di PsychoCandy, e già la folla si scalda (aumentando ulteriormente la temperatura atmosferica). 2Chi vi parla non è un gran fan di questo genere, ma proprio per questo motivo mi approccio al concerto con ancora più curiosità: gli scozzesi salgono sul palco ed è subito ovazione, due pezzi tiratissimi incendiano piazza Castello, il terzo brano invece viene interrotto dal cantante Jim Reid che invita il gruppo a ricominciare e a suonare tutti assieme contemporaneamente. Sarà la prima di una serie di imperfezioni che mi fanno apparire il quintetto un po’ arrugginito, un po’ giustamente invecchiato, perché almeno in un altro paio di occasioni fermano e ricominciano il brano, ed in altrettante noto un certo “tirare indietro” da parte della sezione ritmica, un rallentare del brano come se si stessero scaricando le batterie. Batterie che però risultano perfettamente funzionanti nei brani più carichi, che trent’anni dopo la pubblicazione di questo album iconico appaiono ancora manifesto dello shoegaze: le chitarre in distorsione ed in perenne feedback, quel rullante riverberato tipicamente anni ottanta, giri di basso ipnotici e una voce dal tono incredibilmente caratteristico (mi ricorda Kasabian, un po’ The Rapture, The Music, ovviamente anche Primal Scream) sono il marchio di fabbrica di un suono durato nel tempo, forse un po’ cristallizzato in un periodo storico in cui questo tipo di sonorità avevano un senso e risultavano incredibilmente avanti, ma che contestualizzate al periodo rimangono eccezionalmente innovative. 3Peccato che il tempo passi, e questi musicisti sembrano davvero un po’ congelati (nonostante l’afa): oltre a Jim nessuno si muove sul palco, e mi piace invece immaginarmeli trent’anni fa, a fare un casino incredibile come quella volta della grande rissa al North London Polytechnic. Ci si muove molto giù dal palco invece, e la mia attenzione cade inevitabilmente su quel signore dal canuto casco di capelli al mio fianco, che ondeggia nei suoi pensieri, va avanti e poi torna indietro quasi trainato da una corda invisibile, a tratti mi sembra un collodiano Pinocchio, ma lui si disinteressa, è nel suo viaggio e come lui, tanti altri. È lui l’emblema di questo concerto, è il personaggio perfetto per descrivere la performance dei Jesus: un tuffo nel passato che si concretizza nel presente, un viaggio interiore vissuto nella collettività, una bomba ad orologeria impacchettata con nastro di raso, una testimonianza di un piccolo frammento della storia della musica, ma per questo non meno importante e soprattutto non meno influente per il futuro. È stato un piacere conoscervi cari Jesus, e metaforicamente mi è piaciuto anche vedervi rientrare un po’ spaesati, nel vostro albergo vicino al palco, mentre io mestamente me ne torno a casa in bici.

 

Grazie come sempre a Sara Tosi per il contributo fotografico.

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato!

Puoi usare i seguenti tag HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>